16.000 km di gloria: quando l’Italia trionfò nel raid Pechino‑Parigi
- Alessio Benassi
- 5 giorni fa
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Aggiornamento: 8 minuti fa

Memento audere semper: l'uomo e la macchina
Cosa spinge l'uomo a superare i propri limiti, a sfidare se stesso e le immani avversità? Perché abbiamo il desiderio di scoprire le sorgenti dei fiumi, attraversare i deserti, scalare le montagne e conquistare i poli? La posterità! Il desiderio di scoprire, andare oltre e osare l'inosabile e passare alla storia.
Fu così che, nel gennaio del 1907, alcuni giornalisti del quotidiano francese Le Matin lanciarono una sfida, con annuncio secco e deciso gettarono un guanto di sfida a tutta l'Europa:
«Quello che dobbiamo dimostrare oggi è che dal momento che l’uomo ha l’automobile, egli può fare qualunque cosa ed andare dovunque. C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?».
Pareva una burla, una boutade, eppure non rimase tale. Ben presto, l'Europa della Belle Epoque reagì con entusiasmo. L'uomo e la macchina stavano sviluppando una simbiosi e il desiderio di attraversare le terre emerse da un capo all'altro, da Pechino a Parigi, il desiderio di vincere la sfida impossibile era troppo ghiotto.
Non c'era alcun premio, bisognava, anzi, versare una caparra di duemila franchi, per evitare finte iscrizioni, cifra poi restituita alla partenza. Non c'era nemmeno alcuna organizzazione, i singoli partecipanti dovevano arrangiarsi come potevano. Una follia, un suicidio. Ma cosa spinse l'Ulisse di Dante ad esplorare il mondo se non la fama imperitura?
I pionieri del motore: i protagonisti della corsa Pechino-Parigi 1907
Fu così che a Pechino si presentarono in cinque: tre vetture francesi, due De Dion-Bouton da 10 cavalli e una Contal (una specie di triciclo a motore), un'olandese, Spyker, e una Itala da 45 cavalli.
La De Dion-Bouton, per non avere inconvenienti, affidò ai suoi dipendenti Georges Cormier e Victor Colignon la gestione dell'impresa, supportati dal meccanico Jean Bizac.
La Contal guidata da Auguste Pons, assistito dal meccanico Octave Foucault, la Spyker era guidata da Charles Godard, Jean du Taillis e da un inviato del Le Matin.
Infine il Principe Scipione Borghese con la sua Itala, insieme all'esperto Ettore Guizzardi, eccellente meccanico, e a Luigi Barzini, inviato del Corriere della Sera.
Avrebbe dovuto partecipare anche una sesta autovettura, anch'essa italiana, una Fiat 24 cavalli, del Conte Giulio di Gropello, già vincitore nel 1904 del raid Dehly-Bombay, con l’inviato del Secolo, Longoni, ma alla fine non si riuscì.
La grande sfida al terreno impervio dell'Asia di inizio Novecento vide due scuole di pensiero: se i francesi e gli olandesi puntarono sulla leggerezza e sulla velocità delle proprie vetture, Borghese scommise sulla potenza: l'Itala pesava 1,4 tonnellate, con un motore da 4 cilindri, a 4 marce, poteva raggiungere i 95 chilometri orari.
La squadra italiana apportò alla vettura alcuni accorgimenti tecnici, due enormi serbatoi di benzina ai lati davano autonomia al cuore pulsante d'acciaio, i parafanghi furono tolti e sostituiti con assi amovibili, trovata geniale per superare luoghi che non avevano strade ma solo piste carovaniere.
Altresì, i pneumatici, commissionati da Borghese alla Pirelli quasi "su misura", erano larghi e robusti per superare guadi e rocce, inoltre erano di eguali dimensioni davanti e dietro. Ciò facilitava la sostituzione, anche se andava contro i dettami dell' epoca.
Dalla Muraglia al Gobi: l’epica traversata dell’Itala verso l’Europa
Con questa organizzazione, tra benzina e guanti, i cinque avventurieri si ritrovarono lunedì 10 giugno 1907 a Pechino e di lì ebbe inzio la partenza.
Scrisse Barizini: «Un profilo dentato avanti a noi appare e scompare, mostrando poco a poco torri innumerevoli disposte in catena come schiere di giganti in vedetta. Era la Grande Muraglia».
Superato il grande serpente di pietra, si aprono le steppe della Mongolia, con fiumi, pascoli, deserti e rocce. Ben presto, l'Itala di Borghese prende distanza, distaccandosi sempre più dai francesi e dall'olandese.
Nel deserto del Gobi, il triciclo Contal di Pons rimase bloccato tra le sabbie e l'equipaggio fu salvato, quasi per miracolo, da alcuni mongoli. Tra le steppe e i selciati polverosi, intanto, l'Itala volava raggiungendo e bruciando in anticipo le tappe prefissate.
Le popolazioni locali, stupite da questo prodigio, ammiravano e contemplavano questi strumenti a motore. Molti non si capacitano di come questi mezzi potessero muoversi, domandandosi dove fossero "i cavalli" che le facevano muovere.
Barzini descrisse addirittura questo episodio: «Ammiravano con rispetto come se fossero davanti a un sacro mistero. Guizzardi allora per tenere lontano la folla dalla macchina descrisse intorno all’Itala un largo cerchio solcando la terra con un ferro, e nessuno varcò quel terribile segno».
La fama dell'Itala andava crescendo, alcuni migranti italiani, minatori in Siberia, andavano incontro ai connazionali gridando "Viva l'Italia"!
Il raid proseguì e il distacco fu sempre più palese, superati gli Urali, l'Itala giunse a Mosca e deviò, addirittura, il percorso programmato. Il Principe Borghese raggiunse San Pietroburgo per andare a trovare una nobildonna russa, sua parente.
L’Italia trionfa a Parigi: il finale glorioso del raid Pechino-Parigi
Da lì, la corsa proseguì fino a Berlino e poi verso le altre città d'Europa. Folle di gente, scolaresche, contadini, borghesi, operai e aristocratici di tutta Europa fecero le ali agli italiani.
Il 10 agosto, al pomeriggio, Borghese e i suoi raggiunsero Parigi! La città era in tripudio, bandiere italiane sventolano accanto ai tricolori francesi.
Riporta Barzini: «Molti ciclisti si sono uniti al corteo delle automobili agitano i berretti e urlano ‘Vive le Prince!’ I tram si fermano e i passeggeri in piedi battono le mani».
Il trionfo fu meritato. In soli 60 giorni, da Pechino a Parigi, percorrendo 16.000 km, Borghese, Guizzardi e Barzini attraversarono metà del mondo, quella metà fatta di terreni impervi. Gli altri equipaggi, quelli superstiti, arrivarono 20 giorni dopo.
Questa grande sfida, che, una volta ancora, l'essere umano davanti a grandi difficoltà, fu affrontata non tanto con la velocità, ma con la tecnica, l'ingegno e l'adattabilità.
L'italiano con la propria automobile superò terreni e lande inviolate, regioni remote e macinò distanze immense. Da un capo all'altro, da Pechino a Parigi, il tricolore dell'Itala 45, sfrecciò per le strade dell'Eurasia.
Alessio Benassi
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