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Ventotene: con la distopia para-comunista finisce un'idea malvagia di Unione Europea

Aggiornamento: 8 apr


La sacra catena del Manifesto di Ventotene si è spezzata


La sacra catena è stata finalmente spezzata. Dopo ben 84 anni, il Manifesto di Ventotene, testo assurto strumentalmente a unico ispiratore dell’unificazione europea, ha cessato definitivamente di essere dogma.


È stato sufficiente un breve intervento del Presidente del Consiglio per mettere la parola fine. Eppure, una considerazione va comunque espressa circa i tanti assiomatici sostenitori, ai quali sarebbe bastato solo riflettere per comprendere un semplice punto: in quanto scritto politico, trattasi di elemento opinabile, ossia soggetto a critiche. Nel caso specifico, critiche assai profonde.


Ad esempio, analizzando la prima parte dello scritto, il riferimento ai totalitarismi di destra in qualità di «regimi reazionari di massa» non può essere taciuto. Del resto, risulterebbe impossibile, dato il condizionamento empiristico e ideologico degli autori, l’assenza di tale interpretazione, tipicamente marxista, e contestata in primis dal più grande fra gli storici del periodo, Renzo De Felice, ex comunista.


L'interpretazione marxista della storia: un vizio di fondo


Infatti, nel momento in cui si mette in rilievo la divinizzazione dello stato-partito, o per meglio dire, la sciovinizzazione della società, l’occhio non può che cadere nella non poco contestabile triade, consequenziale, stato nazionale - imperialismo - totalitarismo.


Come se quest’ultimo fosse il responsabile precipuo di quei regimi, nati da tutt’altre matrici: anzitutto l’infausto Trattato di Versailles e in secundis i condizionamenti economici.


Perciò, questa univocità interpretativa appare più un prodotto squisitamente dottrinale che fattuale, frutto di una analisi superficiale dei processi storici e di un, pur comprensibile, odio viscerale verso le ideologie avverse.


Il ruolo dei gruppi di pressione: tra mito e realtà


Limitazioni non di poco conto, se si aggiungono anche le presunte determinanti influenze dei giganti monopolistici, descritti come i reali sostenitori del nazifascismo.


Pier Giorgio Zunino, già Professore ordinario di Storia Contemporanea nell'Università di Torino, avrebbe avuto da obiettare pesantemente a siffatta affermazione in quanto, all’interno della magistrale opera La Repubblica e il suo passato, si può ben evincere il ruolo rilevante, ma non decisivo, dei poteri economici nel para-totalitario fascismo italiano e, soprattutto, nel pienamente totalitario nazional-socialismo tedesco.


Sostanzialmente, questi cosiddetti gruppi di pressione, molti dei quali sviluppatisi in chiave corporativa, hanno in semplicità sostenuto, ove c’era da sostenere, con l’unico scopo di raggiungere i propri interessi. Tipiche dinamiche di qualsiasi regime politico in essere.


D’altro canto, non esiste documento o testimonianza di alcuna adesione pregressa, e quindi di alcun condizionamento atto al conseguimento prima e al mantenimento poi del potere. In più, per rincarare la dose critica, la Gleichschaltung (“coordinamento”), operata dal Ministero della Propaganda in Germania negli anni ‘30, e la Fascistizzazione dei costumi, portata avanti dall’allora segretario del PNF, Achille Starace, si sono rivelate, con tutte le diversità, polizze ben più efficaci del provvisorio sostegno di industriali e latifondisti.


Detto ciò, quanto segue mostra in maniera lampante la sommarietà esegetica degli autori del Manifesto di Ventotene:


«Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.»


Geopolitica e spazi vitali: un fraintendimento pericoloso


Passando oltre, appare irrinunciabile valutare anche il concetto di geopolitica in qualità di “pseudo-scienza”, rappresentante diretta della teoria degli spazi vitali, intesa erroneamente come prodotto atto al mantenimento di un ordine giudicato troppo frettolosamente reazionario.


Forse, sarebbe stata sufficiente solo una buona dose di pragmatismo al fine di evitare idealistici scollamenti tra teoria e pratica. In altri termini, utopie nel complesso pericolose per quella pace tanto cara agli autori. D’altronde, la storia è un continuo susseguirsi di rapporti di forza, aree d’influenza e strategie tra grandi potenze, che siano democratiche, monarchiche o social-comuniste.

 

Le altre sezioni del testo non sono sicuramente da meno. Malcelando uno spiccato anti-anglo-americanismo, ciò che si propone è un'idea di Europa apprezzabile esclusivamente da ferventi rivoluzionari, nel senso involutivo del termine.


Infatti, nel momento in cui si scrive che “Il punto sul quale i conservatori cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale”, con consapevolezza si delinea uno scenario potenzialmente esplosivo, proprio perché l’obiettivo primario consiste nell’attuazione di una pratica di contrapposizione a carattere sostitutivo.


Secondo anche quanto emerge successivamente, non appare concepibile, pertanto, una vittoria ottenuta con mezzi democratici.


Dittatura del partito rivoluzionario e super-stato: un'idea superata


Quest’ultimo punto, difatti, non soltanto prevede la costituzione di un omogeneo partito rivoluzionario di operai e intellettuali, classi elette della nuova società, in quanto più combattive (rispettivamente nel pratico e nel teorico), ma comporta anche un riassetto economico di dimensioni colossali, basato su nazionalizzazioni condotte con metodica sommaria, in base alla grandezza del capitale investito e su redistribuzioni della ricchezza “per eliminare i ceti parassitari”.


In altre parole, il testo sembra descrivere un approccio tendenzialmente “para-comunista”, in cui a dominare deve essere solo un’unica formazione, la quale, citando testualmente:


«attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.»


In sostanza, bisogna prescindere dalla volontà popolare perché ancora non strutturata, consegnare il governo a individui senza la minima esperienza gestionale e, solamente in seguito a una scrupolosa disciplina sociale, poter finalmente godersi la democrazia.


Perciò vengono reputate “passioni” e non pensieri, quelli dei “democratici senza spontaneo consenso”, i quali non costituiscono, a parere degli autori, legittime forme di amministrazione per scelta popolare, ma ostacoli nell’abbattimento degli stati-nazione a favore di un unico superstato rivoluzionario, per nulla identitario.


L’Europa, per fortuna, ha intrapreso tutt’altra direzione. Tanti popoli, uniti nella diversità, che non pretendono certo di uniformarsi ad un unico credo, oramai stantio.


Antonio Bonassora

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