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Uroboro: il loop eterno del Partito Democratico

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La spirale infinita del Partito Democratico


Se dovessimo paragonarlo a qualcuno, sarebbe senz’altro un cane che si morde la coda. Più simbolicamente, vestirebbe i panni del serpente Uroboro, il rettile ripreso da Nietzsche per indicare la ciclicità del tempo. Non è l’eterno ritorno dell’uguale, ma ci si avvicina davvero. È il Partito Democratico: pronipote del PCI di Berlinguer, nipote di Occhetto e D’Alema, figlio di Bersani e Veltroni. E poi? Che cos’è successo alle generazioni successive?


Un loop eterno, una spirale infinita che ha inghiottito leader e correnti. Sconfessato da un referendum elettorale nel 2016, per due volte alle politiche sotto il 20%, tradito anche dallo storico feudo livornese. È un partito di governo, scaltro e torrentizio, al punto da cacciare in tronco il Presidente del Consiglio nel febbraio 2014. Il principale partito di maggioranza per tutta una legislatura, prima socialista, poi riformista, poi figlio dei tempi. E da quel 2013 il giocattolo si è rotto. Dopo Occhetto, Prodi, D’Alema, Rutelli, Veltroni, Bersani, arriva lui. Renzi, direte? Macché: Uroboro.


Le primarie del 2013: l’inizio del declino


Facciamo un salto indietro nel tempo. Primarie 2013.



Pochi mesi prima, alle elezioni politiche, il centrosinistra fa una “non vittoria”. Ha 0,37 punti di vantaggio su un centrodestra che usciva dalle ossa rotte nel post crisi economica, dopo aver votato la fiducia al governo Monti e addirittura all’IMU. 29,55%: alla Camera basta e avanza perché, con la Legge Calderoli, il PD abbia una maggioranza schiacciante. Al Senato, nulla da fare. Il PD non può governare da solo, servono le larghe intese. Niente giaguaro smacchiato, slogan che capeggiava sullo spot della campagna, così come pure sulle labbra di Pierluigi Bersani, né tantomeno Prodi Presidente della Repubblica. Napolitano è confermato, mentre i 5 stelle urlano: “Perché non Rodotà?”.


E poi, la fine di Bersani. Dimissioni da segretario e nuove elezioni primarie. Si presentano tre candidati: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Pippo Civati. Tre candidati diversi, in alcuni casi diametralmente opposti.


Renzi stravince con il quasi 68%: è un plebiscito. Da lì, la storia la conosciamo tutti. “Enrico stai sereno”, “Arrivo, arrivo”, Sblocca-Italia, Jobs Act, 416 ter… tutto fino alla sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016. Renzi si dimette, ma si ricandida a segretario. Rivince, perde le politiche, si dimette.


Le stesse facce, il tempo che si ferma



E poi? E allora nuove primarie: vince Zingaretti. Fa un governo con il M5S, poi si dimette anche lui. Torna Letta, per una piccola parentesi. Sconfitta alle politiche, poi eletta Schlein.


Cosa c’è di strano in tutto questo iter? Che cosa torna e ritorna in questo iter? Davvero non vi sovviene nulla? Guardate in faccia i segretari post- Renzi.


Cuperlo dice di Zingaretti: “Spero che vinca lui”. Gli dà la benedizione da precedente sconfitto. È la sua corrente, è la sua posizione.


Poi? Poi arriva Letta, recuperato in toto dopo 7 anni di esilio forzato in Francia. E poi? Schlein, che faceva la galoppina di Civati nel 2013 e non riusciva neppure a consegnare volantini con facilità. La gente le sfrecciava davanti, in alcuni casi passeggiava noncuranti del fatto che la giovane ventisettenne Elly stesse dicendo: “Vuoi un volantino di Civati?”. E la stessa Elly farà un cambio alla guida della fondazione PD. Sostituirà Cuperlo. Con chi? Con Zingaretti.


Il campo largo e i problemi dell’Italia



Insomma, dopo il 2013 il PD non è mai andato avanti. Stesse facce, stessi candidati, tutti riconducibili a quelle elezioni. Sono passate le legislature, è nato il campo largo. Eppure, nel centrosinistra, ancora, ci sono sempre le stesse facce. Uno zoccolo duro inscalfibile, che ha vaticinato un’ammucchiata mai vista prima su un emiciclo: PD, M5S, Azione, Italia Viva, + Europa, AVS. PD e 5Stelle, nemici naturali nella XVII legislatura, oggi schierati l’uno accanto all’altro. Renzi, storico avversario, definito più e più volte “ebete” da Grillo, ora si schiera proprio con i grillini.


Insomma, ammucchiate selvagge con le stesse identiche facce. E l’Italia prosegue, invece, con il caro-vita, con l’inflazione, con il record di povertà assoluta. La politica ferma, il Paese sprofondo. C’è poco “da stare sereni”.


Gioele Fiore


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