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La corsa alla Casa Bianca più infuocata di sempre è finita. Donald J. Trump è ufficialmente il 47° Presidente degli Stati Uniti d’America. Un sentore di vittoria si è avuto già verso le 5 del mattino (ora italiana) e, nel giro di un paio d’ore, è arrivata la conferma. Tra l’altro, la vittoria è stata annunciata in tempi relativamente brevi rispetto al 2020, quando ci vollero giorni per decretare vincitore il democratico Joe Biden, tra accuse di brogli elettorali e problemi con voti postali ed elettronici a causa della pandemia da Covid-19.
È stata una campagna elettorale intensa, con numerosi capovolgimenti di fronte tra attentati, rallies e confronti con i candidati Harris e Waltz. Alla fine, però, il tycoon ha vinto, portando a casa una delle sfide politiche più combattute di sempre.
La vittoria negli Stati chiave
Per vincere negli Stati Uniti bisogna “vincere” almeno 270 dei 538 grandi elettori (delegati che a dicembre eleggeranno ufficialmente il vincitore), che sono dati in blocco dai 50 Stati ai candidati che prendono anche un solo voto in più degli altri. Ogni Stato ha i suoi grandi elettori, che sono proporzionali alla popolazione. Ad esempio, la California, Stato in cui storicamente vince sempre il candidato democratico, ha 54 grandi elettori in ragione dei suoi 39,2 milioni di abitanti, ed è il più popoloso degli Stati Uniti. Il Texas, Stato storicamente in mano ai Repubblicani e secondo Stato più popoloso (30,5 milioni di abitanti), ha 40 grandi elettori.
Al momento, Trump ha 277 grandi elettori e oltre 71 milioni di voti, mentre Kamala Harris ha 224 delegati e più di 66 milioni di voti. Mancano ancora alcuni Stati a dover terminare lo scrutinio, e sono il Nevada, l’Arizona, il Michigan e l’Alaska (che storicamente sono gli ultimi Stati a chiudere i seggi e quindi anche gli ultimi a dare i risultati), ma in tutti questi Trump è dato avanti alla Harris.
Un dato interessante è stato il voto popolare: non accadeva da vent’anni che un candidato repubblicano vincesse anche nel voto popolare. Trump infatti nel 2016 vinse contro la Clinton con 304 grandi elettori a 227, ma prese 3 milioni di voti in meno (62,9 milioni, a fronte dei 65,8 della Clinton).
Questo non deve sorprendere: basta la vittoria in Stati chiave, i cosiddetti Swing States, che “cambiano colore” di elezione in elezione. Nei sondaggi questi Stati mostrano una sostanziale parità tra i candidati, e sono spesso determinanti per la vittoria. Ad esempio nel 2020 Biden vinse grazie – soprattutto - alla Pennsylvania (19 grandi elettori), che in questa elezione però è stata riconquistata da Trump, che l’aveva già vinta nel 2016.
Il discorso di Trump
«Abbiamo fatto la storia, è la più grande vittoria politica di tutti i tempi. Voglio ringraziare il popolo americano per l’onore che mi è stato concesso: sarò di nuovo Presidente. […] Gli Stati Uniti ci hanno dato un mandato senza precedenti, molto potente, abbiamo vinto ovunque e abbiamo ripreso il controllo del Senato e sembra che manterremo anche il controllo del Congresso.
Questa campagna è stata storica. Noi siamo il partito del buon senso, vogliamo la sicurezza del confine. Non inizierò guerre ma le fermerò. Durante il mio primo mandato non ci furono guerre, per quattro anni non abbiamo avuto guerre, ma piuttosto una sconfitta dell’Isis in tempi record. Metteremo fine a tutte le guerre. Qualcuno mi ha detto che Dio mi ha risparmiato per un motivo, fare grande l’America.
Voglio migliorare questo Paese, e noi riusciremo a compiere insieme questa missione: il compito che ci attende non sarà facile, ma utilizzerò ogni energia della mia anima per portare a termine il lavoro che voi mi avete affidato. È un lavoro difficile, ma è il lavoro più importante al mondo. Il mio primo mandato è stato eccezionale, e adesso governerò secondo le promesse che ho fatto, e le manterrò. Non mi fermerà niente: renderò l'America più sicura, forte, prospera, potente e nuovamente libera. E chiedo a tutti i cittadini di tutto il nostro Paese di unirsi a me in questa nobile e giusta impresa.
È giusto lasciarci alle spalle le divisioni degli ultimi quattro anni. È giunto il momento di unirci e ci proveremo. L’ho già visto altre volte nel mio primo mandato, quando abbiamo raggiunto grandi successi le persone hanno iniziato a riunirsi attorno a noi, il successo ci ha riuniti, e adesso ricominceremo a mettere al primo posto il nostro Paese. E voglio dirvi ancora una volta che per me è un grande onore, io non vi deluderò. Il futuro dell’America sarà migliore, più coraggioso, più sicuro, più forte come mai prima. Che Dio vi benedica e che Dio benedica gli Stati Uniti d’America. Grazie.»
La sinistra a lutto, col dente avvelenato
E come di solito accade, in qualsiasi città, regione o Paese del mondo, c’è sempre una certa sinistra piena di livore che non riesce proprio a mandare giù l’amara verità: il popolo americano ha bocciato l’amministrazione Biden e ha rivotato Trump. Forse, tutto sommato, “si stava meglio prima”.
Giornalisti prezzolati, star di fama mondiale, internazionali e non, sono a lutto. Già da ieri notte, in alcune trasmissioni – senza fare nomi, si dice il peccato ma non il peccatore – man mano che arrivavano i dati dalle agenzie di stampa che riportavano la vittoria di Trump nei vari Stati, era tutta una sfilata di volti tristi, affranti, al limite della disperazione e dell’esaurimento nervoso.
Ne ho sentite di ogni tipo: “il popolo arrabbiato di uomini bianchi vota Trump”, “Kamala è la candidata perfetta, con il fascista Trump al potere si scatenerebbe il caos”, e tante altre.
Ma quello che mi ha fatto sinceramente divertire più di tutti è stato Massimo Giannini, editorialista di Repubblica, questa mattina. Sentite qua: “Con Trump vince la paura e tramonta la democrazia: c’era una volta in America, e adesso non c’è più”. Cancellate tutti i voli per viaggi e vacanze in America: Giannini vi dice che la democrazia non c’è più e gli USA da oggi sono uno Stato in cui vige il regime del terrore e della paura, perché ha vinto il fascistissimo Trump. Ma ‘sto fascismo, nell’America tra il 2017 e il 2020, esattamente, dove lo hanno visto?
Ritorno serio e concludo: più che un popolo arrabbiato, fascista, nazista, omofobo e chi più ne ha più ne metta, quello di questa notte mi è sembrato un popolo stanco, alla ricerca disperata di sicurezza, benessere economico, di qualcuno che protegga i confini e il potere d’acquisto delle famiglie.
Tutti elementi che effettivamente sono stati presenti negli anni della prima presidenza Trump, e lo hanno confermato gli stessi elettori americani, che hanno bocciato sonoramente l’operato di Biden e della sua vice Kamala.
Sulle larghe spalle di Donald Trump, da gennaio, graverà un peso enorme. Sul tavolo dello Studio Ovale si trovano le questioni più complicate del nostro tempo: il regime dei talebani in Afghanistan, la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, il regime iraniano e quello nordcoreano, oltre alle sfide sempre più ardue con il dragone cinese e l’orso russo.
E, per finire, tutti i problemi interni agli Stati Uniti: un popolo sempre più diviso, polarizzato e stanco. Auguri di buon lavoro al Presidente Trump, che io non invidio per nulla.
Alessandro Scimè