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Immagine del redattoreAmirah Risoli

Liberati dal merito o schiavi di un pensiero?

Martedì 18 aprile, "ansia e stress a scuola”:

Occupato il liceo linguistico Manzoni, a Milano. È la prima volta.

Questa è stata la prima notizia che ho letto la mattina seguente in metropolitana.

Questi ragazzi ritengono che fondare la scuola su concetti come il merito e la competitività trasformi lo studio in una prestazione continua. Ma non è tutto.


Nei giorni scorsi, infatti, il collettivo dell’istituto (Antagonista) aveva proposto ai compagni di scuola un sondaggio, del quale sono arrivate 652 risposte su 1200. I risultati sono chiari e denunciano un disagio emotivo dovuto alla pressione scolastica. Le risposte infatti farebbero trasparire un dato allarmante in quanto 7 studenti su 10 avrebbero crisi di pianto quotidiane o di tanto in tanto. Addirittura un 16% di alunni denuncia di averle «sempre». Inoltre, uno studente su due non sente valorizzato il suo impegno da parte dei docenti e, per il 50% degli alunni, la scuola influisce molto sulla propria salute mentale. Più della metà dice di sentirsi classificato solo in base ai voti e forzato a raggiungere l'eccellenza.


Ed ecco dopo un lungo periodo di autogestioni e congestioni, si arriva all’occupazione. Occupazione che vuole dare un segnale forte. Un modello che il Collettivo vuole mettere in discussione. Per questo, ha diffuso sui social un lunghissimo «manifesto» coi motivi dell’occupazione: “Studiare dovrebbe essere sinonimo di crescita e scoperta di sé. Eppure, per tanti ragazzi e ragazze, lo studio più che fonte di arricchimento e passione, finisce per essere sinonimo di ansia, frustrazione e sofferenza; e molti studenti subiscono il peso della competizione con i propri compagni e del giudizio attraverso il voto. Purtroppo l’ansia in classe non è più sopportabile!”

Insomma, questi studenti contestano il metodo e gli obbiettivi di un sistema scolastico che sembra aver perso il controllo, il rapporto con i docenti, PCTO osteggiati da comitati studenteschi ma anche un concetto di merito controproducente.

Ma la loro critica è rivolta principalmente alle istituzioni. Affermano che un paese che non si interessa delle proprie scuole è un paese senza futuro. Le istituzioni non si rendono conto del disagio che si prova nelle scuole italiane.


Giovedì 20 marzo, “i voti dovranno essere accompagnati da motivazione scritta”:

Gli studenti del Manzoni hanno trovato un accordo con i professori dell’istituto.

Un documento firmato dalla preside Maria Rossi e dai delegati degli studenti prevede l’obbligo per i docenti di fornire agli allievi un commento relativo al voto e in particolare di esplicitare il significato del voto in condotta in maniera chiara ed esaustiva. È stata, inoltre, accettata la dismissione del voto 1 nelle verifiche, eccetto pochi casi. Ma l’istituzione scolastica ha anche deciso di rispondere al disagio emotivo manifestato dagli studenti e quindi di sradicare il problema alla radice, promettendo una serie di altri interventi. Esempi sono:

  • La decisione del civico Manzoni di aumentare il supporto psicologico per gli studenti a due sedute settimanali, già a partire da quest’ anno

  • L’impegno a progettare corsi di formazione mirata a cui far partecipare a scorrimento i docenti del polo su tematiche quali neuro divergenze, iniziative destinate alla comunità lgbtqia, stati d’ansia e utilizzo dei mezzi tecnologici

  • Sarà istituito un tavolo di confronto bimestrale tra rappresentanti degli studenti e dei professori sul benessere psicologico e verrà messo a punto uno strumento con il quale gli studenti potranno rappresentare situazioni di disagio o iniziative di miglioramento, in anonimato.

Gli studenti hanno quindi ottenuto un importante risultato concreto che ha portato allo scioglimento immediato dell’occupazione e alla ripresa delle lezioni in aula.


Martedì 18 aprile, “fuga di studenti”:

Anche il liceo milanese Berchet scrive una lettera aperta sul Corriere, in seguito alla fuga di ben 56 studenti in poco più di sei mesi, per solidarietà verso tutti quei ragazzi di altre scuole che sentono di essere in difficoltà. Anche gli studenti che hanno lasciato il Berchet, infatti, dichiarano che la causa della loro fuga sia la grande pressione psicologica avvertita. Questi ragazzi non desiderano passare come coloro che cercano riduzioni dei programmi didattici ma vogliono porre l’attenzione sul riconoscimento di una fragilità.


Gli allievi affermano: “vogliamo studiare con più serenità: la scuola riconosca la nostra fragilità”. A loro si sono unite tante altre scuole dall’Emilia-Romagna, al Veneto, alla Puglia, Campania e Toscana ma anche da diversi istituti milanesi come il Volta o il Parini.


E NOI COSA PENSIAMO DI QUESTA TRISTE REALTA’ DELLA NOSTRA CITTÀ?


La meritocrazia:

Meritocrazia deriva dal latino “meritus” e dal greco “kratos” e nelle nostre scuole significa valorizzare l’impegno personale e il talento. Ritengo che questo sia essenziale per costruire il nostro futuro in maniera attiva premiando la costanza ma anche l’amore di chi si dedica allo studio tutti i giorni. Questo perché l’uguaglianza deve emergere nelle pari opportunità di inizio e non nell’omologazione finale. I professori dovrebbero per questo aiutare ogni singolo ragazzo, aiutandolo a sviluppare le sue capacità e competenze nella piena libertà di espressione, pensiero e partecipazione.


La mia posizione come studentessa:

Durante il mio percorso scolastico mi è capitato diverse volte di provare ansia da prestazione o paura che la mia performance non fosse abbastanza; tuttavia l’ho sempre ritenuta legittima, entro i limiti, perché frutto del mio impegno ma soprattutto in quanto simbolo del mio interesse e amore per quello che faccio. Penso, purtroppo, sia capitato a tutti di avere una piccola crisi di pianto per un voto indesiderato o a causa dell’eccessivo stress; questo va sicuramente cambiato. Ritengo corretto che nelle scuole italiane vada coltivato un clima maggiormente sereno e costruttivo ma non penso assolutamente che la soluzione sia abolire il criterio del merito. Lo studio non deve essere competitività ma deve essere fondato sulla valorizzazione dei talenti e della costanza di ciascuno studente; al traguardo però è giusto che si premi chi ha dimostrato maggiore impegno in quanto tutti devono partire dallo stesso punto con pari opportunità. In seguito spetta a ognuno di noi guadagnarsi quell’opportunità e insieme ad essa la soddisfazione di un percorso, e non solo di un voto (indicatore di una competenza verificata in un determinato momento), frutto del proprio sudore.

Ma ritengo anche che alla base esista una problematica ancora più seria. Infatti, se c’è una cosa che non sopporto è vedere come tanti miei coetanei finiscano prigionieri di un pensiero unico che li vuole tutti uguali, riducendoli alla banalità e distruggendo i loro talenti. Schiavi di un’unica ideologia che non li valorizza ma li affossa.


Per questo la posizione di Gioventù Nazionale Milano è chiara! Uguaglianza e merito non si combattono bensì si completano. Gli studenti devono partire da una linea di partenza tracciata sullo stesso terreno per tutti, indipendentemente dalla famiglia nella quale si nasce, ma quella di arrivo te la devi tracciare da solo. La competitività è opportunità di crescita e non un pretesto per il quale lo studio si trasforma in una prestazione continua.


“A ognuno secondo i suoi meriti, e ad ogni merito, secondo le sue opere”, Germinal, Émile Zola.

Amirah Risoli


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