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La riforma delle istituzioni e la Controrivoluzione moderna

Che cos'è la Controrivoluzione riletta con gli schemi del presente?


Innanzitutto, per capirlo dobbiamo analizzare il significato del termine da cui deriva e a cui si contrappone, ossia quello di rivoluzione. Una rivoluzione è un sommovimento "dal basso", ossia la rivendicazione di una classe che intende sovvertire l'ordine, o meglio il disordine, costituito. Le cause delle rivoluzioni stanno appunto nella rottura di un equilibrio tra classi dominanti e subalterne. Esse finiscono quasi sempre nell'assetto di un nuovo squilibrio: ricordiamo, per menzionare un fatto storico moderno, che dal principio inclusivo di liberté, égalité, fraternité si è precipitati nel terrorismo giacobino, prima, e, successivamente, nell’impero napoleonico di stampo dirigista e dittatoriale.

 

Se la rivoluzione è dunque il principio di una nuova disuguaglianza, la controrivoluzione si dichiara contraria a ogni sovvertimento organizzato spontaneamente dalle masse. La filosofia controrivoluzionaria nasce precisamente da questo scetticismo e da questa sfiducia nell'incapacità delle rivoluzioni di dare vita a uno stato di cose che tenga in giusta considerazione il valore del bene comune o dell'interesse generale, finendo per imporre nuovamente un interesse particolare discriminatorio e revanchista. Viceversa, tale corrente di pensiero ritiene che le istituzioni politiche debbano farsi carico di tale onere, favoriti in questo dalla loro posizione privilegiata di organismi super partes.

 

I disordini rivoluzionari possono essere scongiurati solamente dalla solidità morale delle istituzioni che regolano la Res Publica. Ecco perché è di vitale importanza l'idea di auctoritas, autorità. Il principio dell'ordine può essere mantenuto esclusivamente ispirandosi a valori universali, ossia immutabili nel tempo. Per tale ragione occorre che le istituzioni conservino una base culturale di stampo aristocratico, non contaminata dagli influssi popolari. La moralità non può scendere a compromessi con un soggetto multiforme e instabile come il popolo, che in certi periodi della storia non è nemmeno popolo ma, semplicemente, folla.

 

A cosa si ispira questa moralità? Alla severità dei costumi e alla sobrietà dei comportamenti.

L'auctoritas non va intesa in senso dispotico, come asservimento a un'unica ed esclusiva ragion di Stato. Proprio perché il compito delle istituzioni è quello di mantenere l'ordine, occorre che esse abbiano un'idea di giustizia inclusiva: da qui il rispetto delle libertà personali e il dovere imperativo di non ostacolare i singoli. Tuttavia, questa libertà conosciuta dai cittadini non dev'essere senza limiti, bensì occorrono dei freni. Le istituzioni devono farsi garanti delle cosiddette libertà negative, come il diritto di proprietà, alla vita, alla libera iniziativa, ecc., ma respingere, quando necessario, il consenso alle cosiddette libertà positive, ossia all'eccessiva apertura verso nuove richieste di diritti individuali che potrebbero confliggere con quelli di altri cittadini o alimentare conflitti.

 

L'ordine di una comunità si ha quando questa è in grado di intendersi su punti condivisi unanimemente. Maggiori sono le discrepanze e più alto è il rischio di una rottura. Ciò non esclude, ribadisco, la libertà negativa di dissentire o di esercitare un libero pensiero, controcorrente, rispetto alla società; tuttavia lo Stato (inteso come complesso di organi istituzionali) non può riconoscere oltre una certa misura queste pretese e tramutarle in diritti acquisiti.

 

Il modello istituzionale conservatore (o controrivoluzionario) si ispira alla lezione politica di Cicerone nel suo De re publica: ognuno ha diritto ad una rappresentanza politica, ma il demos non può sostituirsi all'aristocrazia senatoria. Quest'ultima conserva, innanzitutto, una funzione morale nei confronti dei cittadini, interviene nella vita sociale per frenare eccessive iniquità ed esacerbate disparità nei rapporti socio-economici.


Non soltanto Cicerone, ma anche Joseph De Maistre torna d'attualità: lungi dal voler realizzare un regime dittatoriale e arbitrario, il teorico controrivoluzionario sottolineava l'esigenza di subordinare l'interesse privato, egoistico, all'interesse comune e generale, che poteva essere rappresentato unicamente dal titolare della sovranità (il governante), tutore della giustizia e della concordia civile. Quest'ultima si raggiunge solo al prezzo di alcune rinunce, le quali tuttavia ci permetteranno di raggiungere un grado di convivenza più adeguato e una più diffusa pace sociale.

 

Troppo individualismo finisce per mettere tutti contro tutti, alimenta una deriva anarchica sul modello hobbesiano «homo homini lupus», in cui ciascuno finisce per rappresentare un concorrente, un avversario da raggirare e ingannare. Il solo freno a questa situazione è una moderata ma parimenti ferma autorità delle istituzioni politiche nei riguardi dei cittadini.

 

Sempre grazie a Maistre cogliamo inoltre un'altra distinzione: quella tra libertà e felicità. La prima è di natura essenzialmente politica, ed è dunque compito del sovrano garantirne l'integrità (per Maistre sovrano è il re, ma in ambito democratico e repubblicano, del quale sono fautore, lo è il popolo nella sua interezza); la seconda riguarda esclusivamente i singoli ed è di natura privata: ciascuno la ricerca a modo suo, esercitando la propria volontà autonomamente.

 

Di Alessandro Cantoni

 

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