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Islam: nemico o cura dell'Occidente? Riflessione in margine a Sottomissione di Michel Houellebecq

Sottomissione (Soumission, 2015), di Michel Houellebecq, inizia con la descrizione della piatta e insipida vita di Francois, protagonista dell’opera e professore di lettere quarantaquattrenne specialista di Joris Karl Huysman.


Intellettuale di belle speranza in gioventù, chiaramente più intelligente della media anche nella sua mezza età, è però disilluso riguardo alla sua vita intellettuale e ancor di più riguardo a quella sentimentale, basata solo su storie-fotocopia dalla breve durata con le sue giovani studentesse.



Francois è vissuto da giovane in una famiglia “disgregata”, tipica del moderno mondo occidentale, una famiglia senza identità e unità, ormai divisa, oltre che nei sentimenti anche nei fatti, con genitori divorziati, che il protagonista non vede da circa dieci anni. Dopo essersi laureato in lettere, il nostro professore ha avuto un breve exploit intellettuale che sembrava destinato a lanciarlo verso una vita piena di soddisfazioni in ambito accademico e che invece l’ha portato, complice il suo disinteresse verso la docenza, a una piatta e routinaria carriera universitaria.

 

Unico svago in questa monotona ripetizione di lezioni e cene riscaldate al microonde sono le già citate relazioni stereotipate, che consistono essenzialmente nel corteggiamento ad inizio anno accademico di una sua studentessa, seguito da un anno di relazione che poi termina sistematicamente a fine estate, su iniziativa della stessa studentessa.

 

A questa vita solitaria e nichilista fa da sfondo la situazione politica ucronica immaginata da Houellebecq, con una Francia prossima alle elezioni presidenziali che vedranno come maggiori favoriti il Front National di Marine Le Pen e un nuovo partito di ispirazione islamica, Fratellanza Musulmana. I due partiti, in chiara rotta con il sistema istituzionale repubblicano francese, sono infatti considerati l’unica speranza dai francesi, scontenti per un welfare al collasso e dalla chiara mancanza di “spiritualità” all’interno della vita pubblica - e tutto sommato anche in quella privata - dello stato d’oltralpe.

 

Questa frattura nella società francese porta il protagonista a tentare una fuga verso la Spagna, presto però abortita nel segno dell’incapacità assoluta di Francois di lottare per qualcosa, sia essa anche la sua libertà.

 

Con la vittoria del partito musulmano sono messi in atto cambiamenti radicali a tutto l’ordine sociale, politico e istituzionale francese, rispetto ai quali Francois sceglie di inchinarsi al nuovo ordine islamico, realizzando che la sua vera e unica felicità sta nel godere dei frutti del suo atto di sottomissione.

 

Di tutte le cose che sono state dette o scritte e che hanno provocato polemiche rispetto a questo romanzo davvero poche sembrano realmente sensate, dato che la maggior parte paiono formulate con una superficialità portatrice di cattivi consigli o, molto più probabilmente, con una malafede influenzata da ragioni ideologiche o editoriali.

 

Poco sensata è innanzitutto la critica della parte politica che definirei - per semplicità sinistra - la quale vorrebbe appioppare all’autore opinioni razziste: nel libro il politico islamico Ben Abbes, che diventerà presidente della repubblica francese, è, in realtà, trattato come un nuovo Cesare: un distillato perfetto di ambizione, cultura e capacità personali. Ben diverso è il profilo dei politici francesi autoctoni, professionisti (senza spina dorsale) della politica, veri e propri cretini disposti a tutto per la poltrona, dotati del carisma di un complemento d’arredo per uffici.

 

Altresì forse, e su questo mi vorrei di più soffermare, anche dalla “destra” questo libro non è stato troppo ben capito. Citiamo solo la recensione di Emmanuel Carrère: «Profetico non perché predice il futuro, ma perché enuncia verità sul presente».

 

E questo libro non parla, in fin dei conti, di Islam, fantapolitica, elezioni presidenziali o altre angoscianti realtà. Questo libro parla di Occidente. Di più, questo libro parla della perdita dell’identità e dei valori tradizionali dell’Occidente.

 

Perché ormai l’Occidente, perso il cristianesimo, di valori e identità non ne ha più.

 

Questi valori, questi capisaldi fondamentali della società, non li può certo portare la sinistra, sia essa del tipo all’acqua di rose - ormai tanto di moda - sia essa pura, ortodossa e comunista, poiché è per vocazione anti-identitaria. Ma non li può neanche portare l’ideologia liberale, dedita soltanto, in fondo, all’individualismo e al libero mercato, nemica quindi di qualsiasi impianto di valori che possa dirsi votato a una società unita e comunitaria.

 

Dobbiamo dirlo chiaramente: il nemico, nella realtà come nel libro, non sono i turbanti, il cibo halal o la poligamia. L’Islam è una realtà affascinante, con fortissime basi culturali e con la quale i cristiani hanno sempre convissuto, anche nei momenti di più alta tensione inter-religiosa, come la battaglia di Lepanto, come ci dimostra la presenza praticamente costante di rapporti diplomatici fra regni e repubbliche occidentali e Impero Ottomano.

 

E, il nemico non è neanche più la sinistra politica, che. anche se in passato ci è parsa sembrata davvero forte e temibile, è ormai l’ombra spenta del suo passato, costretta fra le catene di idiozia che si è autocostruita.

 

Il Nemico è quel nulla imperante, che cavalca la bestia del consumismo, liberismo, del capitalismo e del sogno americano costi quel che costi. Perché dietro al lusso, all’imprenditorialità finalizzata al solo guadagno, meglio ancora se digitale, alla mitologia del self made man, alla fin fine, non si nasconde proprio niente.

 

Il Nulla fatto Credo, la Modernità.

 

E nel libro questo emerge abbastanza bene. L’Islam in fondo non fa proprio nulla di terribile nel libro. quella che viene tratteggiata nelle pagine di Sottomissione, non è una spietata scalata al potere, condita da una sostituzione etnica, bensì il pacifico riempimento di un posto ormai lasciato vuoto. Perché se è vero, e lo è, che ciò che viene toccato dalla Modernità presto o tardi muore, appassendo piano o venendo reciso rapidamente, è altrettanto vero che ciò che da essa, pur affrontandola, non si fa contagiare la può combattere. E combattere contro ciò che in fondo è Nulla porta necessariamente alla vittoria.

 

Esattamente questo accade nel libro: ritorno a una struttura sociale fondata su comunità e famiglie, con l’abbattimento della mangiatoia di Stato. Elevazione del sistema accademico francese, da "Laureificio" egualitario pronto a dare un titolo a chiunque a organismo elitario e selettivo, secondo una sana e terapeutica aristocrazia.

 

Nel libro l’Islam è la cura, quantomeno una delle possibili, non la malattia. Perché ad un organismo malato, se è malato come il nostro mondo occidentale, non accadono miracoli. O vi è morte, o vi è cura.

 

E se leggendo il libro ci accorgiamo che questa cura non fa per noi, perché al minareto e all’Imam preferiremmo un campanile e un Vescovo, sarebbe il caso di votarci ad altro dio che a quello della modernità e dell’individualismo, non di ingannarci accontentandoci dei “nemici civetta” proposti dalla Modernità stessa.


Di Andrea Almasio

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