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Guerra al tramonto dei simboli

L’ultimo emblema della prima repubblica al tempo della cancel culture

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La proposta di rimuovere la fiamma tricolore: resa ai tempi moderni?


Qualche settimana fa, in un’intervista al Foglio, il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, di Fratelli d’Italia, ha avanzato la proposta di rimuovere il simbolo della fiamma tricolore dal logo del partito. Insomma, una vera e propria resa ai tempi moderni.


Infatti, già a partire dal 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, i partiti tradizionali non solo cambiano i propri nomi, ma scelgono di rinunciare anche a quei simboli di cui si sono serviti per costruire le proprie fortune.


Dalla falce e martello comunista, allo scudo crociato democristiano, al garofano di craxiana memoria, risulta evidente come nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica (1994) le nuove formazioni politiche abbiano preferito accantonare la questione dei simboli.


Eppure, come spesso accade in qualsiasi contesto, esiste l’eccezione, che porta un nome ben chiaro: MSI. Erano passati appena sette anni da quando lo storico segretario Giorgio Almirante aveva lasciato le redini del partito a un giovanissimo Gianfranco Fini, il quale scelse, senza non pochi malumori interni, di procedere spedito verso la via che avrebbe condotto, otto anni più tardi, ad Alleanza Nazionale. Nonostante questi sconvolgimenti, però, la fiamma rimase.


A questo punto, resta solo da capire il perché. Falce e martello, forse, non andavano bene per il PDS? E lo scudo crociato, con scritto Libertas, non era, probabilmente, più adatto al Partito Popolare?


Simboli e ideologie: un’analisi del contesto storico


Come al solito, è opportuno analizzare il contesto. La fine dei grandi partiti ha completamente scosso il sistema Italia e, allo stesso tempo, allontanato i cittadini dalla politica, la quale, complice Tangentopoli, sarebbe divenuta, d’ora in poi, qualcosa da evitare come la peste. Perciò, in un clima di profonda sfiducia nazionale, chi avrebbe avuto la meglio tra il perseverare coi simboli e l'adottarne di nuovi, meno vincolanti? Il tempo ci ha già dato la risposta, ma all’epoca non era così scontato, in quanto non esistevano precedenti e la ricerca del consenso breve a tutti i costi, trattandosi del leitmotiv, fu così vigorosa da accantonare indeterminatamente la questione.


Certamente, a un occhio meno attento, questo potrebbe sembrare solo un tentativo di assecondare in pieno le istanze di un popolo deluso, stanco del “magna-magna” e di partiti corrotti. In realtà, il punto è un altro. PDS, PPI e la new entry di allora, Forza Italia, compresero fin troppo bene che l’era dei simboli era giunta al termine (definitivamente?) e che, pertanto, perseverare in quella direzione avrebbe impedito il ricambio, per lo meno di facciata. In più, s’inserisca l’equazione simbolo=ideologia e il gioco è fatto. Con la fine del comunismo sovietico, l’alternativa al capitalismo neoliberista non esisteva più, conducendo tutte quelle formazioni politiche legate a un'ideologia forte all’assuefazione.


Il simbolo dell’MSI: tra storia e identità


Insomma, nessuno scampo al mantenimento dei vecchi simboli. E allora l’MSI-AN? Perché è stato l’unico a scegliere la via della conservazione? Qualcuno direbbe per nostalgia, ma non può essere sicuramente questa la spiegazione. In primis sarebbe riduttivo affermare ciò, in secundis l’avvento di Gianfranco Fini e della terza generazione missina, senza considerare la brevissima parentesi rautiana, segnò la fine di quell’era. Nasceva una destra moderna, conservatrice e a tratti anche liberale.


Detto questo, la fiamma era dentro questa dinamica. Non aveva il minimo senso rimuoverla. E tutti coloro che dall’opposizione gridarono e continuano a gridare il collegamento con la tomba del duce si sbagliano di grosso. Infatti, quando nacque l’MSI il 26 dicembre 1946, Almirante stesso propose questo simbolo, non certo nel desiderio di ripristinare la Repubblica Sociale o regimi affini, ma perché conscio della necessità di un partito nazionale, ossia rappresentante dei valori della nazione, della patria.


La sfida del presente: conservare i simboli per il futuro


Ecco la necessità del simbolo. Raccontare una storia di quasi 80 anni, fatta di vittorie e sconfitte, di cambiamenti e di consolidamenti. Raccontare la storia di un popolo a lungo emarginato dalla scena politica, che desidera solo servire la patria nel ricordo di quegli Arditi che nel 1917-1918 combatterono strenuamente contro l’aquila austroungarica, al fine di recuperare le terre irredente. Una storia di passione, di cuore e di speranza, che in nessun modo deve essere cancellata, perché è tutta lì.


Nell’era della cancel culture, l’unico raggio di luce proviene da questi emblemi storici, cioè portatori di storie, portatori di identità del quale essere orgogliosi fino alla fine. Il Ministro Ciriani, con tutte le buone intenzioni, non si faccia coinvolgere in questo schema. Non è possibile adattarsi alla maggioranza quando questa è in errore e ciò non è un’opinione, ma un dato di fatto.


Da quando i simboli hanno smesso di avere un ruolo significativo, di primo piano anche i partiti hanno perso l’attrazione verso i cittadini, soprattutto verso i più giovani, avulsi da interessi personali, nel momento in cui si trattava di entrare in una qualsiasi associazione politica.


Perciò al giorno d’oggi, se si desidera offrire nuovamente ai partiti il ruolo che effettivamente li compete, quello di interlocutori costanti, è bene puntare lo sguardo al passato. Un sincero appello a tutti i partiti, insomma: che ripristino o rivedano i propri simboli, con la prospettiva di renderli consolidati, quindi identificativi, e, chissà, perché non definitivi.


Fratelli d’Italia ha già un vantaggio, non lo sprechi. Anzi, sproni gli altri a seguirla invece di seguire gli altri.


Antonio Bonasora



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