Le «Bombe Democratiche» incendiano il Medio Oriente, quale futuro per l'Iran?
- Alessio Benassi
- 23 giu
- Tempo di lettura: 4 min
È dal '92 che Netanyahu boffonchia dello sviluppo imminente di testate, ancora più imminentmente pronte per essere utilizzate contro Tel Aviv.

La lezione di Stranamore: la paura come arma strategica
Il Dottor Stranamore, personaggio dell'omonimo e noto film di Stanley Kubrick, pronuncia una frase emblematica: «La deterrenza è l'arte di creare nell'animo dell'eventuale nemico il terrore di attaccare».
Proprio in questi giorni, la situazione di conflitto tra Israele e Teheran, me l'ha fatta riaffiorare alla mente. Il governo israeliano, per prevenire che gli iraniani riescano a realizzare la bomba atomica, ha colpito il paese.
Ovviamente Teheran, vedendo violato il proprio spazio aereo e i propri confini, ha risposto per le rime, colpendo, a sua volta, Tel Aviv. Nulla di nuovo, il braccio di ferro tra le due nazioni prosegue da anni, con scambi di colpi reciproci.
Salvo che, "ultim'ora" il presidente statunitense, per timore di indispettire il governo israeliano, si è aggiunto alla festa.
Dall’Iraq all’Iran: la lunga ombra dei “casus belli”
La rivendicazione del "principio di deterrenza" e le azioni preventive di questi giorni, non possono che far affiorare alla mente alcuni precedenti catastrofici.
Era il 5 febbraio del 2003 quando, come noto, Colin Powell mostrò, al Consiglio di sicurezza dell'ONU, le "prove inconfutabili" della presenza di armi di distruzione di massa nell'Iraq di Saddam, giustificandone l'invasione.
A guerra conclusa, con tutti i morti innocenti che ella comportò, fu appurato che a Bagdad di armi di distruzione di massa non ce ne era neanche l'ombra, anzi l'esercito iracheno aveva addirittura mezzi vetusti. Fu lo stesso Powell, poi, a ritrattare: gli serviva un casus belli.
Oggi la situazione non è diversa. Teheran ha in essere un piano di sviluppo nucleare (civile e, senza dubbio, anche militare), ma è dal '92 che Netanyahu boffonchia dello sviluppo imminente di testate, ancora più imminentmente pronte per essere utilizzate contro Tel Aviv.
Orbene, dal 1992 a oggi, ancora nulla, ancora nessun "missile a punta, che fa più paura".
Israele all’attacco: strategia o provocazione?
Non è un azzardo affermare che Israele abbia lanciato un attacco preventivo, violando, una volta ancora, il diritto internazionale (tanto gli è concesso), per trascinare il Biondo di Washington, che fin'ora aveva dimostrato di non avere problemi a trattare civilmente con i delegati dell'Ayatollah, nell'ennesima guerra d'aggressione, propedeutica alla conquista della "Grande Israele".
In questi ultimi anni, Israele ha colpito ad uno ad uno tutti i suoi avversari, le nazioni legittime del Medio Oriente, vedendole cadere. L'Iraq è crollato, la Libia è in fiamme, l'Egitto, scosso dalle primavere, sembra aver dimenticato la propria vocazione panaraba, il Libano è annichilito e, da ultimo, la nobile Siria, unico sistema-paese costitutivamente alternativo a Israele, è caduta, si fa per dire, in mano ai ribelli jihadisti.
Manca solo l'Iran, non certo un'alternativa credibile, ma, di fatto, ultima alternativa militare allo stato sionista.
Il fallimento dell’export democratico e il rischio caos
Anchorché non sia auspicabile, sarà possibile abbattere il "regime" colpendolo, solo, da fuori?
La storia ci dimostra che i tentativi di "esportazione della democrazia", hanno dato esiti pessimi tanto per i popoli liberati quanto, in fondo in fondo, anche per i popoli dell'Occidente.
La Libia, tolto di mezzo Gheddafi, è precipitata in un caos decennale, che ha frammentato il paese (con pessime conseguenze in primis per l'Italia), l'Iraq è divenuto un paese debole, nel quale la comunità cristiana è perseguitata se non del tutto scomparsa.
Ed esempio ancora più lampante è l'Afghanistan dove la missione per istituire la democrazia e sconfiggere "l'asse del male" non è stata solo inconcludente, ma ha regalato tutto il paese ai talebani, come fosse un frutto maturo.
I puri di cuore, illusi delle bombe umanitarie in nome dei diritti della persona, devono chiedersi, in coscienza, se un cambio di regime, spinto da forze quali gli USA e Israele, potrà mai avere veramente successo e, nel caso lo dovesse effettivamente avere, se non schianterà un paese che funziona nel caos più totale.
Iran: tra giunte militari, monarchia e resistenza sciita
Tentare di abbattere oggi il governo di Khamenei significa impegolarsi in una never ending war e condurre il paese allo sbando. L'Iran è una nazione con una storia antichissima, con tradizioni e un retaggio che non crolleranno di punto in bianco.
Questo paese è un'isola sciita che resiste da secoli in un mare sunnita, se colpito dall'esterno non farà altro che compattarsi e rafforzarsi. E la restaurazione monarchica? Reza II Pahlavi, figlio dello Shah Mohamed Reza Pahlavi, spodestato da Komeini a seguito della rivoluzione, del 1979, si appella in questi giorni al popolo e ai vertici militari.
Sicuramente quella dello Shah è un'ipotesi già più credibile, meglio una restaurazione monarchica che l'"esportazione della democrazia", in stile americano. Il problema è che Reza II è spudoratamente filo-occidentale e dimostrandosi amico dei nemici di Teheran, al punto da salutare le bombe israeliane come liberatrici, non può che rendersi inviso ai suoi sudditi.
Ipotesi personalissima, se mai il governo degli āyatollāh avrà fine, sarà per mano di una giunta militare, che potrebbe o rivendicare per sé il potere, come abbiamo visto spesso, optare per una restaurazione diversa, quella della Qajar, l'antica stirpe che resse la Persia dal 1794 al 1925, anno in cui fu spodestata da Pahlavi. I Qajar, potrebbero essere un buon compromesso.
Iran e Terza Guerra Mondiale: la profezia dello Shah
La situazione rimane a dir poco delicata, parliamo di un'area geografica estremamente importante, nella quale si concentrano gli interessi di tutto il mondo. Lo aveva vaticinato, in modo estremamente sibillino lo stesso Shah, Mohamed Reza Pahlavi, intervistato da Oriana Fallaci:
«Molti pensano che la Terza guerra mondiale possa esplodere solo per il Mediterraneo, io dico invece che potrebbe esplodere molto più facilmente per l'Iran. Oh, molto più facilmente!
Siamo noi, infatti, che controlliamo le risorse energetiche del mondo. Per raggiungere il resto del mondo, il petrolio non passa attraverso il Mediterraneo: passa attraverso il Golfo Persico e l'Oceano Indiano. Quindi, se l'Unione Sovietica ci attaccasse, noi resisteremmo. E saremmo probabilmente travolti e allora i paesi non comunisti si guarderebbero bene dallo stare con le mani in mano. E interverrebbero. E sarebbe la Terza guerra mondiale. Evidente.
Il mondo non comunista non può accettare la scomparsa dell'Iran perché sa bene che perdere l'Iran significherebbe perdere tutto».
Comments