El Alamein: l'ultima battaglia di una Nazione orgogliosa e sovrana
- Alessandro Campedelli
- 6 giorni fa
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Il 2 luglio del 1942, nel cuore rovente del deserto egiziano, iniziava la prima battaglia di El Alamein. In quelle torride settimane, sotto il sole implacabile e tra le sabbie mosse dal fuoco dell’artiglieria, i soldati italiani si distinsero per coraggio e spirito di sacrificio, nonostante tutte le forze remassero contro di loro.

Per questo, El Alamein fu qualcosa di più alto di un "semplice" scontro tra eserciti: fu una prova di identità nazionale, l'ultima fiamma di una gioventù patriottica e consapevole che, pur mandata allo sbaraglio da un comando centrale incerto e spesso sordo, seppe scrivere una pagina di gloria, destinata a non morire.
Il cuore dell’Impero britannico nel mirino
Nel più vasto contesto della Seconda guerra mondiale, il fronte nordafricano rivestiva una importanza geopolitica fondamentale, spesso messa in secondo piano nella storiografia contemporanea. Controllare l’Egitto significava detenere le chiavi del Canale di Suez, quindi della rotta verso l’India britannica e dell’accesso al Medio Oriente, ricco di risorse petrolifere.
Le forze dell’Asse, guidate dal feldmaresciallo tedesco Erwin Rommel, miravano a un’avanzata rapida prima verso il Cairo e poi verso la Palestina e l’Iraq, dove la presenza militare britannica era modesta e spesso contestata dalle popolazioni locali.
L’Italia, impegnata sin dal 1940 nella difesa delle proprie colonie in Libia, vedeva in questa offensiva la possibilità storica di affermare la propria, tanto agognata, centralità nel Mediterraneo. Ma la realtà era dura: l'esercito italiano era ancora legato alle vecchie dottrine militari, male equipaggiato, con scarsa disponibilità di mezzi motorizzati, artiglieria leggera e con una logistica inefficiente.
Le forze in campo
All’alba della battaglia, l’Asse poteva contare su circa 100.000 uomini, in gran parte appartenenti agli Afrikakorps di Rommel, tuttavia più della metà dei soldati erano italiani, afferenti a divisioni come l’Ariete, la Trento, la Pavia, la Brescia e, soprattutto, la Folgore.
L’avversario, l’VIII Armata britannica, guidata dal generale Auchinleck, contava oltre 150.000 uomini, sostenuti dal triplo degli aeroplani (500 italo-tedeschi contro i 1500 inglesi) e dal doppio dei carri armati (poco più di 500 carri per l’Asse e più di 1000 per gli inglesi)
Il comando italiano, affidato nominalmente al generale Cavallero e alle direttive del Comando Supremo, si dimostrò ancora una volta incerto, scollegato dalla realtà e incapace di valorizzare le potenzialità delle proprie truppe, affidandosi troppo spesso alle iniziative tedesche e sottovalutando il valore dei reparti italiani.
La battaglia
La prima battaglia di El Alamein ebbe luogo tra il 2 luglio e il 27 luglio 1942 e iniziò a partire da un’offensiva italo-tedesca, che si sviluppò per oltre 60 chilometri lungo il fronte, con azioni disperate e scontri feroci. Le truppe dell’Asse tentarono di sfondare le linee britanniche, ma vennero fermate dalla solida resistenza nemica e dalla crescente carenza di rifornimenti.
Nel settore meridionale, nella zona più esposta e meno fortificata, venne schierata la divisione paracadutisti Folgore. Giunta da poco dall’Italia, questa nasce come divisione da sbarco aereo in previsione di un’invasione di Malta (mai avvenuta), ed era composta quasi interamente da volontari, giovani addestrati con rigore, provenienti dalle migliori scuole militari italiane, molti dei quali credevano sinceramente nell’ideale della Patria e della rivoluzione nazionale del Fascismo.
Addestrati per lanciarsi dal cielo, vennero invece impiegati come fanteria nel deserto. Armati con fucili Carcano 91 e cannoni da 47/32 (inefficaci contro i carri inglesi), i parà combatterono per due settimane contro un nemico molto più grande di loro.
La leggenda della Folgore
I paracadutisti della Folgore divennero simbolo del valore italiano. In pieno deserto, senza copertura aerea, senza mezzi blindati e con un’alta percentuale di caduti già nei primi giorni, non arretrarono, anzi, combatterono come potevano per mantenere la posizione. Infatti, quando i carri britannici tentarono la penetrazione nel settore meridionale, i fanti italiani risposero con mine improvvisate, bottiglie molotov e scontri corpo a corpo.
Sono numerose le storie, divenute leggenda, dei soldati della Folgore: un gruppo di paracadutisti che distrusse un’intera colonna corazzata usando un solo pezzo da 47 mm; un altro plotone, circondato, che si rifiutò di arrendersi e venne completamente annientato dopo aver inflitto pesanti perdite agli inglesi.
Questi non furono gesti di disperazione, ma atti di fermo eroismo, compiuti da chi sapeva di rappresentare l’onore di una Nazione. Perfino gli inglesi riconobbero il valore e il coraggio degli uomini della Folgore, infatti il generale britannico Hughes, dopo la battaglia, dichiarò:
“Se avessimo avuto i paracadutisti italiani della Folgore, avremmo conquistato il mondo”
“Mancò la fortuna, non il valore”
La battaglia si concluse senza la vera vittoria di nessuno, ma segnò l’arresto definitivo dell’avanzata dell’Asse verso l’Egitto. Nei mesi successivi, con il subentramento di Montgomery a guida dell’VIII Armata e con la seconda battaglia di El Alamein, le truppe italo-tedesche furono costrette alla ritirata, fino al definitivo abbandono della Libia. Ma fu questa battaglia a consacrare l’eroismo italiano, a dimostrare che, anche senza risorse, senza mezzi, senza organizzazione, un popolo può combattere con dignità e valore.
Dopo El Alamein, l’Italia entrerà in una spirale di sconfitte, tradimenti e occupazioni. Dopo l’8 settembre 1943, non sarà più una nazione libera e sovrana, ma una pedina nel gioco delle potenze occidentali, occupata da eserciti stranieri e divisa nella propria coscienza nazionale.
Quelli sparati nella prima Battaglia di El Alamein furono gli ultimi proiettili di un’Italia ancora libera e padrona del proprio destino. Colpi di mortaio sparati non solo contro il nemico, ma contro l’oblio e la rassegnazione. In Egitto, l’Italia non vinse. Ma non si arrese mai e combatté con onore fino alla fine. Ed è questo ciò che conta.
Alessandro Campedelli
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