Brucia Taybeh, l’ultima città cristiana di Palestina
- Andrea Campiglio

- 28 lug
- Tempo di lettura: 2 min

Taybeh è una cittadina palestinese, si trova a nord di Ramallah, in Cisgiordania, ed è nota, a chiunque abbia compiuto pellegrinaggio in Terra Santa, per la birra che lì viene prodotta, probabilmente l’unica che si riesca a trovare in Palestina.
Sulla carta ha 14 mila abitanti, ma se andrete a visitarla ne troverete pochi più di 2000, il resto sono scappati: in Europa, negli Usa, tantissimi in Cile. Mantengono la residenza lì per rispetto delle proprie radici, ma la loro vita ormai si è sviluppata lontano dalla Giudea.
L’unico villaggio cristiano della Palestina
Taybeh è il nome odierno dell’antica Efraim, il luogo dove Gesù si ritirò prima della Passione e morte. La città mantiene un primato, è l’unica della Palestina ed essere interamente abitata da Cristiani, divisi in tre denominazioni: Greco Ortodossi, Greco Cattolici (Melchiti) e Cattolici Latini.
Proprio i rappresentanti locali delle tre Chiese hanno scritto, negli scorsi giorni, un durissimo comunicato, sperando di attirare l’attenzione dell’Occidente su quanto sta succedendo in questo luogo ad opera dei coloni israeliani.
Coloni e militari per cacciare i Cristiani
I sionisti hanno appiccato un incendio che ha coinvolto l’antica chiesa bizantina di San Giorgio e il suo cimitero. Si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di episodi finalizzati a spaventare la popolazione locale e rendere la sua permanenza impossibile.
I coloni israeliani creano insediamenti abusivi grazie all’appoggio dei militari, distruggono gli ulivi, che per molti cristiani sono la principale fonte di sostentamento, impediscono l’accesso ai propri campi agli agricoltori... insomma, organizzano tutta una serie di azioni che ha come fine il rendere la permanenza dei Palestinesi impossibile, per poter poi occupare le loro terre con la giustificazione che “sono state abbandonate”.
L’appello delle Chiese cristiane e il silenzio dell’Occidente
«Rimanere in silenzio di fronte a questi incessanti attacchi che minacciano la nostra esistenza nella nostra terra» è impossibile, scrivono i tre sacerdoti, che con il loro appello sperano di attirare l’attenzione della comunità internazionale su questa dinamica bene nota eppure ignorata.
Bruciano le nostre Chiese, abbattono le case e sottraggono i mezzi di sostentamento ai nostri fratelli nella Fede. Non è forse anche questa “cristianofobia”? O quando c’è di mezzo Tel Aviv queste parole non valgono?
Non sarebbe ora, come Occidentali e come Cristiani, di ripensare ai nostri rapporti con uno Stato che dalla sua nascita ha decimato la presenza cristiana nella regione e che quotidianamente ne mette a rischio l’esistenza?
I tanti politici sedicenti di Destra pronti a parlare di minaccia islamica e di difesa della nostra identità dall’intolleranza musulmana, non hanno nulla da dire a proposito di questi Cristiani che ogni giorno si trovano costretti a lottare per preservare la propria identità?
Andrea Campiglio






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