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Nucleare in Italia? Calenda bocciato

Il Paladino dell'atomo fa i conti senza l'oste?

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Per far fronte all'emergenza climatica e alla necessità della transizione energetica, Azione, il partito guidato da Carlo Calenda, ha avanzato una proposta che vorrebbe impegnare il Paese a installare tra i 42 e i 70 GW di potenza nucleare, entro il 2060 (con inizio lavori previsto per il 2029), quindi con ben 10 anni di ritardo rispetto agli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2050.


Questo piano ambizioso, che promette una decarbonizzazione “sostenibile”, è in realtà assolutamente irrealistico e privo di solide basi tecniche, economiche e politiche. Analizziamo, punto per punto, perché questa proposta è destinata a fallire, mettendo in luce tutte le sue fragilità.

 

1 Le tempistiche e il numero di reattori nucleari necessari



Concedendo che l'Italia sia effettivamente in grado di avviare la costruzione dei reattori nel 2029, come auspicato e indicato da Azione, rimarrebbero 31 anni per raggiungere la capacità di 70 GW. Con una capacità media per ogni reattore tra 1 e 1.6 GW, il paese avrebbe bisogno di costruire tra i 44 e i 70 reattori nucleari, in - il dato non è trascurabile - soli 31 anni.


Questo significherebbe mettere in funzione almeno 2 o 3 reattori ogni anno per tre decenni, un ritmo di costruzione estremamente ambizioso e mai raggiunto in nessun paese del mondo.


Per capirci, la Francia, durante l’espansione nucleare del proprio programma nucleare (anni ’70 e ’80) – uno dei più rapidi della storia – ha costruito una media di circa 1 o 2 reattori all’anno, ma in un contesto radicalmente diverso: crisi petrolifera, ampio consenso sociale e politico, e una burocrazia significativamente meno complessa rispetto a quella odierna, figuratevi se paragonata quella italiana.


Si pensi che la costruzione della centrale nucleare di Flamanville, situata, appunto, in Francia, iniziata nel 2007, sarebbe dovuta terminare nel 2012 e, invece, non sarà operativa prima della fine del 2024.


Iniziamo a capire perché realizzare un programma nucleare come quello delineato da Azione, in Italia, un paese senza un’infrastruttura nucleare preesistente, sia a dir poco irrealistico?

 

2 Costi e sostenibilità economica




Secondo le stime dell'International Energy Agency (IEA), il costo medio per accumulare un GW di potenza nucleare è di circa 5 miliardi di euro. Per raggiungere i 70 GW, l’Italia dovrebbe, quindi, spendere circa 350 miliardi di euro. Questo importo drenerebbe risorse da investimenti in tecnologie più rapide e meno costose, come le rinnovabili.


Di contro, secondo l'International Renewable Energy Agency (IRENA), il costo medio per installare un GW di potenza solare è di circa 1 miliardo di euro, e può essere installato in meno di un anno.


Nel 2023 l’Italia ha installato 5.7 GW di nuova potenza rinnovabile, dati Terna (operatore di reti per la trasmissione di energia elettrica), si tratta di un aumento significativo rispetto ai 3 GW installati nel 2022. La tendenza sembra destinata a crescere ulteriormente, l’obiettivo sono i 9 GW annui entro il 2030, come previsto dal Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC).


Considerando il capacity factor, ovvero la percentuale di tempo in cui un impianto produce energia, rispetto alla sua capacità massima teorica: 5.7 GW di rinnovabili (con una media ponderata del capacity factor di energia eolica e solare, forniti dal Gestore dei Servizi Energetici - GSE - del 18,8%,) producono annualmente circa 9.387 GWh di energia; superando ampiamente i 7.034 GWh generati da 1 GW di nucleare (il cui capacity factor medio è del 80,3% secondo i dati dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica - IAEA).


Questo dimostra che, anche con un costo iniziale significativamente inferiore e tempi di installazione molto più rapidi, le rinnovabili possono garantire una produzione energetica annua nettamente superiore a quella di un singolo reattore nucleare.

 

Il nucleare non solo è costoso, ma richiede anche tempi molto lunghi per essere reso operativo. La costruzione di 1 GW di potenza nucleare richiede almeno 10 anni, considerando le fasi di progettazione, approvazione, costruzione e messa in servizio. Ciò significa che, anche avviando oggi i lavori, i primi reattori sarebbero pronti non prima del 2040.

 

A tutto ciò va aggiunto che molti reattori costruiti recentemente recenti hanno subito una crescita dei costi e dei tempi considerevole, rispetto al progetto iniziale:


Ecco alcuni esempi significativi:


  • Flamanville (Francia): il progetto, avviato nel 2007, doveva essere completato entro il 2012, ma la messa in funzione è ora prevista per il 2024. I costi sono passati da 3,3 a 13,2 miliardi di euro.

  • Olkiluoto 3 (Finlandia): iniziato nel 2005, doveva essere completato nel 2009, ma è diventato operativo solo nel 2023. I costi sono aumentati da 3 a 11 miliardi di euro.

  • Vogtle Units 3 & 4 (USA): avviato nel 2009, con completamento previsto per il 2016-2017, ma la prima unità è stata completata nel 2023, con la seconda prevista per il 2024. I costi sono saliti da 14 a 35 miliardi di dollari.

  • Hinkley Point C (Regno Unito): la costruzione, iniziata nel 2018, doveva terminare nel 2025, ma la messa in servizio è ora attesa tra il 2027 e il 2028, con costi aumentati da 18 a 33 miliardi di sterline.

  • Summer Units 2 & 3 (USA): il progetto, avviato nel 2013 e previsto per il 2019, è stato abbandonato nel 2017, dopo aver accumulato costi di 25 miliardi di dollari, rispetto ai 9 miliardi inizialmente stimati.

 

3 Gestione e smaltimento dei rifiuti radioattivi



Tornando alla proposta di Azione e Carlo Calenda, da cui siamo partiti, va detto anche che non viene considerato l’annoso problema della gestione dei rifiuti radioattivi. Attualmente, l’Italia non ha un deposito nazionale ed è inadempiente rispetto alla direttiva Euratom 2011/70, come dimostrato dalla procedura d'infrazione aperta dall'Unione Europea.


Questo significa che, al momento, i rifiuti radioattivi vengono gestiti tramite esportazione temporanea all'estero. L'Italia ha avviato il processo per la realizzazione di un Deposito Nazionale già nel 2010, con l'emanazione del Decreto Legislativo 15 febbraio 2010 n. 31, ma il percorso è stato lungo e segnato da ritardi.


Solo nel 2021 è stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), che individuava 67 siti candidati, successivamente ridotti a 51 nel 2023, con la proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI). Tuttavia, non si prevede l’entrata in servizio del deposito prima del 2039, lasciando per i prossimi 15 anni l’Italia priva di una soluzione stabile per i rifiuti radioattivi.


Inoltre, entro il 2025, l’Italia è obbligata a riprendere oltre 235 tonnellate di scorie nucleari attualmente stoccate in Francia e Regno Unito. Questi rifiuti, sebbene gestiti solo temporaneamente, aumenteranno ulteriormente la pressione sul nostro sistema già fragile.


Un programma nucleare con una capacità di 70 GW comporterebbe una produzione significativamente maggiore di rifiuti radioattivi, che richiederebbe un’infrastruttura di stoccaggio di altissima qualità e lunga durata, che nella proposta politica di cui sopra non viene considerata. Gli esempi di paesi come Francia e Finlandia, che hanno impiegato decenni per costruire depositi geologici sicuri, indicano che l’Italia difficilmente potrà affrontare una simile sfida senza una pianificazione decennale e investimenti straordinari.

 

4 Resistenza dell'Italia al cambiamento



Chi propone un piano nucleare massiccio, come quello suggerito da Azione, dovrebbe fare tesoro dalle difficoltà che l’Italia ha affrontato in passato con altri progetti dalla portata infrastrutturale simile.


La linea TAV Torino-Lione, che doveva migliorare i collegamenti tra Italia e Francia, è stata oggetto di proteste e ritardi per anni. Il progetto è stato continuamente osteggiato, per motivi ideologici, ambientali, logistici e politici, con un supporto popolare minimo, e con costi crescenti, che hanno gravano sulle casse pubbliche.


Anche il TAP, il gasdotto Trans-Adriatico, ha incontrato ostacoli simili. Nonostante sia ora operativo, ci sono voluti anni di battaglie legali e politiche per superare le resistenze locali e ottenere le autorizzazioni necessarie.


La linea TAV Torino-Lione, il gasdotto TAP e, più recentemente, la produzione di carne coltivata, vietata dal Governo Meloni, sono esempi di come il Paese Italia tenda, almeno in prima battuta, a osteggiare gli stravolgimenti radicali, sulla base di una combinazione di interessi locali, burocrazia e politiche conservative, trasversali a destra e sinistra.


Pensare di avviare un programma nucleare ambizioso in un paese che fatica ad accettare anche tecnologie consolidate è pura fantasia.


Il pericolo di puntare sull’energia nucleare risiede nell’enorme rischio di ritardi che, inevitabilmente, andrebbero a verificarsi. Di contro, la necessità della transizione non può tollerare alcun ritardo: ogni anno perso nel passaggio dalle fonti fossili alle energie pulite aggrava la crisi ambientale e mette a rischio gli obiettivi climatici internazionali.

 

5 L’instabilità politica rende l'Italia inadatta a progetti di lungo termine



Come ben noto, dal 1994 a oggi, l’Italia ha vissuto un’impressionante instabilità politica, con ben 15 governi diversi guidati da schieramenti politici di ogni colore: centrodestra, centrosinistra, tecnici e persino coalizioni eterogenee, nate più per necessità personali che per reale coesione politica.


Questa instabilità è emblematica di un sistema incapace di garantire una continuità amministrativa, necessaria per realizzare progetti di lungo termine come quello nucleare. In un contesto simile, dove i governi cambiano direzione con la velocità di una girandola, pensare di avviare un progetto nucleare che richiede almeno due/tre decenni di stabilità politica e amministrativa è - lo sottolineiamo nuovamente - pura fantasia.


La realtà è che l’Italia fatica a garantire la continuità anche per infrastrutture tradizionali, figuriamoci per un piano che coinvolgerebbe sicurezza nucleare, gestione dei rifiuti radioattivi e investimenti di centinaia di miliardi di euro.

 

Cosa sarà quindi del nucleare in Italia?



Il nucleare è una tecnologia valida e interessante, che ha giocato e continuerà a giocare un ruolo nella decarbonizzazione globale. Tuttavia, in Italia le condizioni economiche, tecniche e politiche rendono irrealistico perseguire un piano nucleare come quello proposto da Azione, che richiederebbe risorse e tempi incompatibili con le sfide climatiche attuali.


La proposta di installare 42-70 GW entro il 2060 appare priva di basi solide e rischia di allontanare l'Italia dagli obiettivi di decarbonizzazione prefissati per il 2050, deviando risorse che potrebbero essere più impiegate efficacemente nello sviluppo delle energie rinnovabili.


Queste ultime, per esempio solare ed eolico, possono essere implementate immediatamente, con costi significativamente inferiori e senza le complessità gestionali legate al nucleare, permettendo una decarbonizzazione progressiva e tangibile a breve termine.


Puntare sul nucleare rischia di trasformarsi in una pericolosa distrazione dagli obiettivi climatici, poiché i tempi di costruzione e i costi elevati farebbero sì che il contributo alla decarbonizzazione arriverebbe troppo tardi. Con le energie rinnovabili, invece, è possibile agire rapidamente, e in modo più efficace, per raggiungere i target climatici con un approccio graduale e realistico.

 

Filippo Pagliuca



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