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Non sei antifascista? Niente sala del Comune, succede a Piacenza

Aggiornamento: 30 gen

A partire da oggi, giovedì 23 gennaio 2025, a Piacenza, chiunque voglia organizzare un evento in una sala comunale dovrà sottoscrivere una dichiarazione antifascista.


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«Le realtà o le persone che volessero utilizzare spazi di proprietà del Comune per eventi di diverso genere [...] devono dichiarare, nella documentazione, di essere a favore della Costituzione e contro atteggiamenti di espressione fascista, razzista, sessista tipici delle ideologie assolutiste e totalitarie.»

Questo il contenuto del nuovo regolamento approvato dalla giunta guidata dal sindaco Katia Tarasconi. Non si tratta di un caso isolato, altre città, per esempio Monza hanno già adottato misure simili, richiedendo dichiarazioni analoghe per la concessione degli spazi pubblici.


Il precedente del 2019: l’evento di Stefano Delle Chiaie


Il percorso che ha portato a questa decisione affonda le sue radici in un episodio del 2019, quando il Circolo Culturale Nicola Bombacci (quel fondatore del Partito Comunista d’Italia, che nel 1945 venne esposto al fianco di Mussolini, dopo essere morto gridando “Viva l’Italia, viva il socialismo!”) organizzò una conferenza presso la Casa delle Associazioni con ospite Stefano Delle Chiaie, storica guida di Avanguardia Nazionale.


L’evento fu annullato dalla Prefettura per “motivi di ordine pubblico”, a seguito delle proteste delle sigle antifasciste locali. La giunta di centrodestra, allora guidata dal sindaco Patrizia Barbieri, cercò di difendere la libertà di espressione, ma senza successo. Quel “polverone” è oggi la giustificazione adottata dalla giunta Tarasconi per introdurre il cosiddetto bollino antifascista nel regolamento per l’uso degli spazi comunali.


Il paradosso di Popper: una giustificazione che non convince


Provvedimenti come quello di Piacenza vengono spesso difesi richiamando il “paradosso della tolleranza” di Karl Popper, secondo cui una società tollerante rischia di essere sopraffatta se non pone limiti alla tolleranza nei confronti degli intolleranti.


Ma è davvero il caso di applicare questo principio all’Italia del 2024? Il Fascismo, sconfitto quasi ottant’anni fa, non rappresenta più una minaccia concreta per la Repubblica. Eppure, nel nome di questa “emergenza” inesistente, si impone una dichiarazione antifascista che ha tutto il sapore di un rituale ideologico.


Il bollino antifascista è l’ennesima dimostrazione di una sinistra che, incapace di affrontare temi concreti, ricorre all’antifascismo come strumento politico. Piacenza, infatti, figura tra le città italiane con i maggiori problemi legati a degrado urbano, sicurezza e qualità della vita. Eppure, anziché concentrarsi su queste priorità, l’amministrazione si dedica a provvedimenti simbolici che non migliorano minimamente il benessere dei cittadini.


Ma la questione non è solo anacronistica, gli atteggiamenti legittimi nei confronti del fascismo sono più del semplice, e spesso troppo comodo, dichiararsi antifascisti. Lo testimonia il Presidente del Senato, Ignazio Larussa, che, pur massima carica dell'ordinamento democratico e amico dichiarato del popolo ebraico, preferisce non dichiararsi antifascista e, per questo, non potrebbe richiedere l'utilizzo di una sala del comune di Piacenza.


Una distrazione di massa per nascondere il vuoto politico


L’introduzione del bollino antifascista a Piacenza è stata accolta con una certa ironia sui social. A diversi piacentini il bollino antifascista appare come una cortina di fumo per distogliere l’attenzione dai problemi reali. È più facile alimentare un dibattito ideologico che affrontare questioni come la gestione dei servizi pubblici o la sicurezza nelle strade. Al centro-sinistra, che, in tutta Italia, si aggrappa a questi (non)argomenti, chiediamo: per quanto ancora andrete avanti rifiutandovi di fare politica?

Matteo Respinti


Il Presente è il quotidiano di cultura, informazione e formazione della destra militante italiana, è diretto da Matteo Respinti.

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