La Cina arraffa Unieuro, ora l’Italia dei patrioti impugni il Golden Power contro il Dragone
- Matteo Respinti
- 4 ago
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No, non si tratta di salvare un'azienda italiana. Quello, ahinoi, è un treno perso da tempo: Unieuro è, infatti, francese. Si tratta, ed è forse ancora più fondamentale, di difendere il futuro della Patria, fermando l'avanzata della Cina nel cuore dell’economia reale italiana.

La Cina sbarca in Italia: il caso MediaWorld e Unieuro
A fine luglio, il colosso cinese JD.com ha lanciato un’operazione destinata a riscrivere gli equilibri economici della vendita al dettaglio in Europa.
Acquisendo, per oltre due miliardi di euro, la tedesca Ceconomy, JD.com è entrata in possesso (diretto) di MediaWorld, storico marchio (tedesco) della grande distribuzione elettronica in Italia.
Non solo. Insieme a Mediaworld, acquisendo Ceconomy, il gruppo cinese ha ereditato anche una quota significativa (il 23,4%) di Fnac Darty, la multinazionale francese che controlla Unieuro.
La Cina non ha semplicemente "acquistato due brand", si è aggiudicata un piede fisso in MediaWorld, e una mano sul volante di Unieuro: i due principali operatori del mercato italiano.
MediaWorld e Unieuro: non italiane, ma radicate in Italia
Chi, in questi giorni, ha impostato il tema in termini di "aziende italiane che finiscono sotto controllo estero", ha preso male la mira. Questa volta il punto è più sottile ed è ancora più serio.
Diciamolo a chiare lettere, a scanso di equivoci, MediaWorld non è mai stata italiana: è da sempre un’estensione della tedesca MediaMarkt, nata a Monaco di Baviera, nel 1979, di cui è il marchio operativo nel nostro Paese. La sede legale è a Curno, in provincia di Bergamo, ma le decisioni chiave si prendevano – fino a ieri – a Düsseldorf.
Sfatiamo anche un altro "mito", ri-sorto in occasione dell'acquisto cinese: se è vero che Unieuro vanta radici profonde in Italia, perchè fondata a Forlì nel 1937 e cresciuta fino a diventare il simbolo nazionale dell’elettronica di consumo, da tempo il suo capitale è passato in mani estere.
Nel 2024 la francese Fnac Darty l'ha acquisita, determinandone l'uscita da Borsa Italiana e portando le redini del gruppo oltre le Alpi.
Ecco, quindi, il vero problema: la Cina ha acquisito il controllo di imprese, certo già sotto controllo estero (comunque europeo), che operano su scala italiana, incidendo su migliaia di lavoratori, consumatori, fornitori e territori. Oggi tutto questo è passato sotto l’influenza cinese.
Dall’Europa alla Cina: un cambio di controllo strategico
Se la francesizzazione di Unieuro ha indotto qualcuno di noi ad alzare più di un sopracciglio, non tanto per sciovinismo industriale, quanto per una questione di autonomia decisionale; c'è da dire — tappandosi il naso — che, tutto sommato, finché il controllo rimane all'interno dell’Unione Europea, esistono — almeno in teoria — regole comuni, quadri giuridici condivisi, possibilità di intervento e coordinamento. Con la conquista cinese questo cambia radicalmente.
JD.com non è una multinazionale qualsiasi, è un colosso dell’e-commerce e della logistica, strategicamente collegato al governo di Pechino. È parte integrante del progetto di espansione cinese nei mercati occidentali, dove la penetrazione economica è spesso il cavallo di Troia di una più ampia influenza politica e tecnologica.
Con l’acquisto di Ceconomy, JD.com controlla direttamente una rete di 1.000 punti vendita in Europa, tra cui i 144 MediaWorld italiani, e, influenzando Fnac Darty, controlla anche Unieuro.
Due aziende, un solo nuovo padrone extraeuropeo che, se ne facciano una ragione gli amici liberali, agisce con logiche radicalmente opposte a quelle del "libero mercato".
JD.com, il Dragone che vuole comandare il nostro mercato
Non si può dire che, con l'acquisizione cinese, l’Italia perda il controllo di un'azienda, perché ciò, come abbiamo visto, è accaduto tempo fa; ma proprio per questo, oggi l’Italia si ritrova più esposta di ieri. Il passaggio da Francia e Germania alla Cina non è un fatto tecnico, ma geopolitico.
La Cina non è un partner commerciale neutrale. È un regime comunista, nell'accezione materialista, utilitarista e totalitaria del termine; concorrente strategico dell’Occidente globalista e liberale (nel quale, volenti o nolenti, siamo, almeno economicamente, immersi), ma non per ciò meno nemico della nostra Europa e dell'Italia.
Attraverso MediaWorld e Unieuro, JD.com non vende solo televisori o computer: raccoglie dati, stabilisce reti, orienta consumi. E integra tutto questo in un sistema commerciale e digitale che fa capo a Pechino.
Il fatto che l’Italia non abbia un proprio attore industriale in grado di bilanciare questa presenza è già un problema di per se. Ma se non reagiremo con misure adeguate, il problema sarà ancora più grosso.
Golden Power: l’arma italiana per difendersi
La misura adeguata, fortunatamente, esiste e si chiama Golden Power. Introdotto nel 2012 e rafforzato nel tempo, consente allo Stato italiano di intervenire per tutelare gli interessi nazionali nei settori strategici, anche quando a cambiare proprietà sono aziende formalmente private e formalmente estere.
Il governo ha il potere – oggi è un dovere – di aprire un’istruttoria sull’ingresso cinese in Ceconomy, valutare l’impatto diretto su MediaWorld Italia e indiretto su Unieuro, imporre vincoli su governance, sul trattamento dati, sulla logistica, sull'occupazione e, se necessario, bloccare l’operazione.
No, non si tratta di chiudersi al mondo. Si tratta di difendere la Patria da un nemico che opera alterando le regole del mercato, senza reciprocità e contro i nostri interessi. Non si tratta di protezionismo, è una battaglia per la sicurezza nazionale.
Matteo Respinti
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