top of page

Ascolti i Joy Division? «Sei antisemita!»: quando la destra è peggio della sinistra. Succede in Australia

C’è uno spettro che si aggira per l’Occidente: lo spettro dell’antisemitismo. O, meglio, quella prassi ridicola che consiste nel dipingere come antisemiti i propri avversari politici.


Se, per un ottantennio scarso, le contingenze storiche avevano salvato la destra dall’usare quest’arma (patrimonio esclusivo di sinistre e centristi), le recrudescenze del conflitto israelo-palestinese hanno dato il via alla mattanza. Così la destra ha spento il cervello — la cosa non deve sorprendere — e, è fin superfluo ricordarlo, via con le accuse di antisemitismo a raffica contro chiunque osi denunciare il male israeliano, fosse anche un ebreo.


Niente di nuovo a Occidente, dirà giustamente il lettore, se non fosse che, la settimana scorsa, in Australia, l’anti-antisemitismo “di destra” ha fatto il salto di qualità: i liberal-conservatori hanno accusato il primo ministro di antisemitismo, perché indossava la maglietta dei Joy Division.


Il “caso Joy Division”: il primo ministro australiano è antisemita?


Ricostruiamo i fatti. Giovedì 23 ottobre, il primo ministro laburista Anthony Albanese (alla guida del Paese dal maggio 2022) è tornato in patria dopo una visita negli Stati Uniti.


All’apertura del portellone dell’aereo, i fotografi lo hanno immortalato in abiti informali: scarpe sportive, pantaloni neri e – questa la pietra dello scandalo – una maglietta con la copertina di Unknown Pleasures, l’album più celebre dei Joy Division, storica band post-punk inglese.


Inizialmente, tutto si è svolto secondo la normale, e banale, dialettica democratica: un governo fa qualcosa — qualsiasi cosa — e l’opposizione, per partito preso, lo contesta. Poi, però, qualche giorno dopo, il centrodestra australiano, a corto di cartucce politiche, ha deciso di impugnare l’arma dell’antisemitismo.


L'attacco della della destra australiana


Il 28 ottobre, Sussan Ley, guida dell’opposizione liberal-conservatrice, ha preso la parola in Parlamento accusando Albanese di “profonda mancanza di giudizio”, per aver indossato la maglietta di una band “le cui origini sono profondamente radicate nell’antisemitismo”.


E cosa mai avrebbero a che fare i Joy Division con l’antisemitismo, si sarà chiesto il lettore? Secondo la Ley, il nome della band sarebbe un riferimento a “un’ala di un campo di concentramento nazista, dove le donne ebree erano costrette alla schiavitù sessuale”.


A sostegno di questa affermazione, la deputata ha citato implicitamente il romanzo House of Dolls del 1953, scritto da Ka-Tzetnik 135633 (pseudonimo di Yehiel De-Nur, sopravvissuto ad Auschwitz). Il libro racconta le vicende di un gruppo di giovani ebree costrette alla schiavitù sessuale nei bordelli dei campi, denominati “Joy Divisions”.


Lo scritto, però, è considerato dagli storici un’opera letteraria e non una testimonianza storica rigorosa. Se non si può non credere che le violenze nei campi fossero frequenti e sistematiche, non sembra esserci riscontro di sezioni o divisioni di internate a questo dedicate.


I Joy Division erano antisemiti?


Al di là della veridicità storica del racconto, è certo che House of Dolls sia la fonte da cui i Joy Division trassero ispirazione per il nome. Purtroppo per Ley, nulla indica che la scelta fosse dettata da simpatie nazionalsocialiste o da pulsioni antisemite: al contrario, stile, testi, temi e atmosfere della band post-punk fanno pensare, piuttosto, alla volontà di fissare, quindi non dimenticare, quindi denunciare, la disumanizzazione di cui furono vittime le protagoniste del romanzo e, più in generale, gli internati dei campi di concentramento.


Tornando all’anti-antisemitismo “di destra”, Il cuore dell’attacco di Ley al primo ministro Albanese è stato questo:


«In un momento in cui gli ebrei australiani stanno affrontando un aumento dell’antisemitismo, quando le famiglie chiedono rassicurazione e unità, il Primo Ministro ha scelto di esibire un’immagine nata dall’odio e dalla sofferenza.»


Il boomerang politico dell'aniti-antisemitismo di comodo


Fortunatamente, almeno questa volta, nessuno ha abboccato all’amo. Le comunità ebraiche australiane non hanno dato credito alla polemica, e gli esponenti più lucidi dell’opposizione hanno fatto notare che, se proprio di discriminazione si deve parlare, questa va rintracciata nella strumentalizzazione politica della shoah, soprattutto, aggiungiamo noi, in una terra che l’ha conosciuta solo sui libri di storia.


Significativa la non-risposta di Albanese che, nel pieno della polemica sul suo abbigliamento, si trovava in Malesia per una serie di vertici internazionali: getting things done, ha dichiarato.


Chissà che, con questo nostro, l’appello alla concretezza arrivi, dall’Australia, anche a chi — e sono tanti, forse la maggioranza. — nel cdx italiano passa le proprie giornate a combattere l’antisemitismo immaginario o, meglio, strumentale.


Comunque, abbiamo di che essere felici. Almeno per un po', potremo continuare a canticchiare sotto la doccia “I've been waiting for a guide to come and take me by the hand”, senza dover temere di finire in tribunale.


Matteo Respinti

Commenti


Il Presente è il quotidiano di cultura, informazione e formazione della destra militante italiana, è diretto da Matteo Respinti.

Questo sito non è una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Le immagini e i video pubblicati sono tratti da internet e, per tanto, valutati di pubblico dominio: qualora il loro uso violasse diritti d’autore, lo si comunichi alla redazione che provvederà alla loro pronta rimozione.

© Copyright Il Presente 2024 - Tutti i diritti riservati.

bottom of page