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Aboubakar Soumahoro, gran visir del Partito Islamico

Aggiornamento: 13 apr


Da eroe della sinistra a pascià del pluralismo islamico


C’era una volta il deputato con gli stivali. Stivali che, ricorderete, pur rubati a un compagno bracciante, il nostro sfoggiava in Parlamento come simbolo della lotta bracciantile e della dignità dei migranti. Era l’Aboubakar Soumahoro pre-inchiesta, incensato da giornali, talk show e ONG. Una specie di Che Guevara delle serre foggiane, non me ne voglia il - lui sì - guerrigliero, patriota e socialista, dell'America latina.


Poi il gatto, pardon, l'Onorevole, inciampò e cadde vertiginosamente dall'olimpo della sinistra radical chic alle sabbie mobili di una vicenda giudiziaria legata allo sfruttamento delle cooperative per migranti della moglie e della suocera. Imbarazzante? Certo. Inaspettato? Mica tanto. Stivali o meno, la sinistra non perde mai il vizio.


Ed eccoci al 2025. Come ogni buon trasformista della politica italiana, Soumahoro non si è fatto dissuadere dalla polvere accumulata sul suo curriculum. Dopo essere stato rapidamente digerito e poi espulso da AVS – quel cartello rosso-verde, oltre ad aver eletto lui, ci ha regalato anche l'illustre Ilaria Salis – eccolo reinventarsi quale gran visir del “Partito islamico italiano”.


Più che un passaggio ideologico, sembra il salto acrobatico di chi cerca ancora, disperatamente, una telecamera e un applauso.


“Italia Plurale”: più che pluralismo, monotematismo


Italia Plurale: un nome che evoca apertura, convivenza, molteplicità. Poi vai a vedere la lista presentata a Monfalcone, città simbolo del dibattito su identità, integrazione e legalità, e scopri che di pluralismo ce n’è poco: 19 candidati, tutti musulmani, la maggior parte affiliati a centri culturali islamici. I manifesti elettorali parlano più arabo che italiano, le pagine social sono piene di sermoni religiosi e bambine col velo.


Ma, attenzione: dire che si tratta di un partito “islamico” non è di per sé un’accusa. Un musulmano ha tutto il diritto di fondare un Partito orientando la propria azione politica in virtù della fede, così come lo fa un cattolico o un valdese. E, no, non si tratta di ecumenismo da quattro soldi, bensì di una semplice evidenza: un uomo che vive integralmente la propria fede, così come sono chiamati a farlo il cattolico, il valdese e il musulmano non può che agire nell'agone pubblico sulla base delle verità che ritiene giuste ed evidenti.


Il problema, semmai, è come viene declinata questa identità religiosa. E qui Soumahoro, che si presenta come mentore politico del candidato sindaco Bou Konate, sembra aver scelto un’interpretazione piuttosto integralista e culturalmente chiusa, come se il pluralismo fosse solo la copertina di un progetto che, in realtà, guarda con sospetto, e odio, al Paese ospitante.


Dai braccianti alle moschee “creative”: le mille vite di Soumahoro


In politica sopravvive chi sa cambiare pelle. Ma qui siamo oltre la semplice adattabilità. Soumahoro ha attraversato il pantano giudiziario, da cui, inutile nasconderlo (perché ci sono giudizi, quali quello politico, che non spettano ai tribunali) è uscito indenne, ma, appunto, con una reputazione fortemente compromessa, ed è riuscito a reinventarsi come nuovo volto di una realtà che parla di "integrazione", ma che a Monfalcone sfida apertamente la legge italiana in nome di un'interpretazione della sharia.


Non si può certo accusare Soumahoro di incoerenza ideologica – perché di ideologia, che non è una parolaccia, in lui mai ce n’è stata. Il suo è un percorso fatto di simboli da cavalcare: prima i braccianti, poi i migranti, ora l’Islam militante e in questo è un vero uomo di sinistra (Prima i lavoratori, poi gli studenti, poi i cosiddetti queer.


Non è un caso che le presentazioni dei candidati siano in bengalese, senegalese, pakistano: l’Italia è un dettaglio. E l'alleanza, vedere e sinistra, che lo aveva adottato oggi tace, giustamente, in preda alla vergogna.


Islam, politica e trasformismo: un trio da maneggiare con cura


Come chiarito, il cuore della questione non è demonizzare l’Islam, Silvia Sardone è antipatica quanto il Visir Soumahoro. Anzi, sarebbe profondamente sbagliato. In Italia vivono migliaia di musulmani integrati, rispettosi delle leggi giuste e, come tutti, giustamente critici delle leggi ingiuste. Alcuni, senza dubbio, sono anche lodevolmente impegnati in politica, nei sindacati e nel sociale.


Il punto è che il progetto politico appoggiato da Soumahoro a Monfalcone – e che, potenzialmente, si espanderà presto anche altrove – appara più un’operazione identitaria anti-italiana, rivestita da parole rassicuranti, che un progetto politico per donare alla vita pubblica un contributo musulmano. Quando si parla di “reciprocità”, ma si impone il velo integrale alle bambine; quando si evoca la “coesione”, ma si disobbedisce alle sentenze dello Stato in nome di un'interpretazione della sharia; quando si pretende di migliorare l’Italia, ma non si parla la sua lingua nemmeno in campagna elettorale… beh, qualche domanda è lecito farsela.


E Soumahoro, il pascià postmoderno, non fa altro che sfruttare l’ennesima onda di disperati alla ribalta. Da eroe della sinistra a mediatore dell’Islam politico, il suo è il viaggio di chi cerca un palcoscenico più che un Paese da servire. E Monfalcone e i musulmani italiani, in questa storia, sono solo le vittime.


Matteo Respinti

Il Presente è il quotidiano di cultura, informazione e formazione della destra militante italiana, è diretto da Matteo Respinti.

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