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Grande guerra, 1916: il primo bombardamento aereo subito da Milano

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Il perché, di facciata, della Prima guerra civile europea


Un qualsiasi evento non basta fare scattare la guerra, essa è sempre frutto di una oculata e occulta preparazione.


Per quanto concerne la Prima Guerra Mondiale, che personalmente definisco “Prima Guerra Civile Europea”, come sappiamo tutti, il fatto scatenante, ovvero il classico casus belli, avviene a Sarajevo, capitale della provincia austro-ungarica della Bosnia, il giorno 28 giugno 1914.


Motivo: omicidio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco, e di sua moglie Sofia, duchessa di Hohenberg. Autore materiale del crimine: Gavrilo Princip, diciannovenne serbo-bosniaco. I retroscena? Magari un’altra volta.


In rapida successione, sempre nel 1914, ecco il susseguirsi degli eventi: il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia, il 1o agosto la Germania la dichiara alla Russia e il 3 agosto alla Francia. Il 4 agosto l’Inghilterra dichiara guerra alla Germania. Il 23 maggio 1915, con effetto a decorrere dal giorno 24, l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria. Il 27 agosto 1916 si avrà la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania. Intanto anche altre nazioni entrano in guerra, tra cui gli Stati Uniti, e mentre il 3 marzo 1918 la Russia si arrende alla Germania. La guerra avrà temine alla fine del 1918 e per l’Italia si chiuderà il 4 novembre.

 

14 febbraio 1916: il primo bombardamento subito da Milano




L’algida ma tersa mattina del 14 febbraio del 1916 vede tre aeroplani austriaci di tela, legno e metallo librarsi nel cielo prossimo al “fronte di guerra”. Con spavalderia puntano dritti, dritti al cuore della Lombardia. Uno piega leggermente per bombardare Monza, mentre gli altri due picchiano su Milano. Qualcheduno dice che sulla città meneghina ne arrivi solo uno, ma, sia come sia, gli effetti del bombardamento sono evidenti a tutti. A Monza muoiono due persone, a Milano le vittime sono diciotto e i feriti alcune decine, tutti colpiti nell’allora Rione di Porta Romana.


Il fatto è tutt’oggi ricordato dal monumento di Enrico Saroldi, situato in Via Tiraboschi angolo Via Muratori. Inaugurato il 24 giugno 1923, è un’opera in bronzo su piedistallo ricoperto con lastre di pietra calcarea e una targa in bronzo sul fronte, che commemora sia la Medaglia d’Oro al valor militare Giordano Ottolini, sia i caduti del Rione nella Prima Guerra Mondiale e le vittime dell’incursione aerea (figg. 1, 2, 3).



Così recita la lapide sul fronte:


«Alle vittime inermi degli aeroplani austriaci / che la mattina del 14 febbraio 1916 / lo insanguinarono / il RIONE di PORTA ROMANA / erge questa memore ara / e vi accende un unica fiamma d’amore / per tutti i suoi caduti in guerra / dal 1915 al 1918 / oggi / che la vittoria è consacrata / in faccia al sole d’Italia / 24 giugno 1923».

 

A loro memoria, ecco i nomi dei civili, riportati nella parte inferiore della lapide di sinistra: Bajoni Alfredo, Bassi Giuseppe, Beretta Farina Adele, Biancardi Farina Angela, Brusamolino Giuseppe, Casiraghi Alessandro, Colombo Enrico, D’Adda Domenica, Galleani Luigi, Lupini Giacomo, Maccabruni Siro, Marchina Domenechini Anna, Minonzio Angela, Pagliuchi Giovanni, Pizzigoni Emilio, Saita Giovanni, Vertuani Giuseppe, Vitali Pietro.

 

Il significato dell’opera scultorea



Se il bozzetto dell’artista è approvato senza riserve il febbraio 1922, un dettaglio sull’esecuzione merita di essere ricordato con le righe di Laura Rossi:


«Quanto alle spese di fondazione, esse furono insolitamente sostenute dai promotori: nella primavera del 1923 l’Amministrazione civica negava infatti il proprio contributo, avendo già deliberato una cospicua somma a favore di un monumento commemorativo di tutti i caduti milanesi (il futuro Tempio della Vittoria)» (Rossi Laura, Schedatura cronologica delle opere, in Petrantoni Michele -a cura di-, Memorie nel bronzo e nel marmo, Federico Motta Editore, Milano 1997, p. 243).


I milanesi chiamarono da subito tale composizione scultorea “i tre ubriachi” (“i trii ciocch”) per via della loro posa. Nella realtà ecco che cosa rappresentano le tre figure di bronzo:


con elmi d’altri tempi, abbiamo un legionario di Roma e un fante del Carroccio, che s’intende abbia partecipato alla Battaglia di Legnano (29 maggio 1176), i quali sorreggono un fante a petto nudo, con addosso i pantaloni, stretti alle caviglie dalle mollettiere, e le giberne in cintura: trattasi della Medaglia d’Oro al Valor Militare Giordano Ottolini, che simboleggia il Soldato italiano caduto al fronte.


Spiega Laura Rossi: «lo scultore ideò la rappresentazione delle tre Età – romana, medievale e moderna – nelle quali la civiltà italica si era trovata in lotta con i popoli germanici, col proposito di rendere onore ai caduti della Prima Guerra Mondiale, paragonandoli agli antichi eroi già consacrati dalla storia» (Ivi).



Vorrei… ma non posso!


Per la città si tratta del primo e unico bombardamento aereo della Grande Guerra. A Milano e nelle vicine città si pensa di trovare una soluzione, come emerge dalle parole della lettera del sindaco di Bergamo avv. Zilioli, redatta il 3 aprile 1916 e indirizzata al Sindaco di Milano (fig. 4):


«Le ripetute incursioni di aeroplani nemici verificatesi, con luttuose conseguenze, in varie città d’Italia, e la minaccia, del tutto logica e universalmente temuta, di sorprese di danni sempre più gravi, indussero da tempo questa città di Bergamo a rivolgere vive istanze al Governo perché impiantasse qui una squadra di difesa.


Tosto però, e in via, per così dire, pregiudiziale, ci venne risposto che – dati i mezzi limitati di cui si dispone – una squadra proprio a Bergamo, e solo per Bergamo, non avrebbe potuto in nessun caso essere concessa. Piuttosto si vedesse di scegliere una località dove la funzione di difesa avesse potuto efficacemente adempiersi così per Bergamo come per Milano, dacché Milano, per la sua grande importanza, doveva certo costituire una meta di attacchi preferita dal nemico.


Furono allora da noi indicate le due località di Osio e di Grassobbio, e chiedemmo alla S.V.Illma. di associarsi alla nostra istanza, al che la S.V.Illma. cortesemente quanto autorevolmente aderì.


Dopo varie insistenze, alcuni giorni sono il generale Marieni, Direttore Capo di questi servizi, dichiarava in Roma al sottoscritto di concedere la squadra richiesta, e di avere all’uopo dato ordine alla Direzione Tecnica dell’Aviazione Militare di Torino per la scelta della località.


Mi osservava però tosto che, come già altrove (ad es. Foggia da dove egli ritornava in quel punto) mentre il Governo sostiene la spesa della squadra e della costruzione degli hangars, la spesa della disponibilità dell’area e della sistemazione, deve assumersi a proprio carico dagli interessati locali.


Il che, se non al concetto rigoroso cui dovrebbe informarsi la competenza delle spese, risponde certo al sistema di cooperazione ormai largamente invalso, fra Stato, enti e privati nel soddisfacimento delle innumerevoli necessità create da quest’ora storica [etc.]» (Archivio della Provincia di Milano, Anno 1916, fasc. 924, Comunicazioni).

 

Anche il Sindaco di Como interviene richiedendo una “protezione aerea”, ma in definitiva la schermaglia a colpi di carta intestata si sussegue fino alla fine del conflitto e con un bel “nulla di fatto”.


Gianluca Padovan


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Figure e didascalie:



Fig. 1. Il monumento di Enrico Saroldi, ancor’oggi situato in Via Tiraboschi angolo Via Muratori (foto G. Padovan).

  



Fig. 2. Targa in bronzo sul fronte del monumento di Via Tiraboschi raffigurante due corpi a terra e una donna, protesa all’indietro, la quale ha il braccio destro alzato mentre con l’altro, piegato, si protegge il volto dall’esplosione di una bomba d’aereo (foto G. Padovan).


 

Fig. 3. Lapide di sinistra con incisi, nella parte inferiore, i diciotto nomi dei Civili morti a causa del bombardamento (foto G. Padovan).

 

 

Fig. 4. Prima pagina della lettera trasmessa in data 3 aprile 1916 dal Sindaco di Bergamo al Sindaco di Milano (Archivio della Provincia di Milano, Anno 1916, fasc. 924, Comunicazioni).

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