Dalle ceneri del secondo conflitto mondiale, gli assetti politici ed internazionali sono profondamente mutati a seguito della vittoria alleata che ha condotto l’Europa alla divisione in due blocchi: occidentale di matrice capitalista, controllata dagli Stati Uniti, e orientale, ferreamente in mano all’Unione Sovietica di Stalin. Germania e Italia dovettero fare i conti più duri con le ricostruzioni post belliche: in quanto gran parte delle proprie infrastrutture e dei centri industriali furono rasi al suolo durante i pesanti bombardamenti.
Il governo americano, alla guida della prima economia mondiale, aveva previsto nell’immediato futuro un piano di supporto straordinario ai paesi europei passato alla storia come piano Marshall. Un piano economico che aveva l’obiettivo di rimettere in piedi le Nazioni reduci dal conflitto e inserirle definitivamente nella sfera di influenza statunitense.
Dell’European Recovery Program ne hanno beneficiato principalmente: Germania Ovest, Italia, Francia e Regno Unito; prevedeva uno stanziamento di 14 miliardi di dollari per un periodo di 4 anni a partire dal 1948. Tale accordo aprì la porta alla realizzazione di un progetto politico-militare ancor più ambizioso e nel 1949 si concretizzò con la nascita del North Atlantic Treaty Organization comunemente chiamato NATO: accordo militare di tipo difensivo che, nel concepimento iniziale, avrebbe dovuto limitare il rischio di guerra in Europa e difendersi eventualmente dalla minaccia sovietica e dal neonato Patto di Varsavia capeggiato dall’URSS.
L’Italia fu uno dei Paesi fondatori di questa nuova alleanza, tuttavia, nella politica interna, vi erano forti voci contrastanti: in primis, il Partito Comunista Italiano era profondamente contrario in quanto i rapporti con l’Unione Sovietica erano intensi mentre estremamente favorevoli erano i democristiani, che vedevano negli Stati Uniti un forte alleato contro la deriva comunista. Caso a parte rappresenta il Movimento Sociale Italiano, dove la corrente di Sinistra era profondamente anti-americana mentre quella di Destra, tutto sommato vedeva di buon occhio l’alleato statunitense rivendicando un fronte unito anti-comunista.
L’Europa post bellica fu caratterizzata da un enorme sforzo diplomatico con l’intento di archiviare velocemente i dissapori fra gli Stati e creare un nuovo spazio su cui poter costruire un’Europa unita e coesa. A tal proposito, col trattato di Parigi del 1951 nacque la CECA ossia la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio con lo scopo di mettere in produzione comune le più richieste materie prime del tempo.
Bastarono 6 anni affinché questo accordo venisse ampliato ulteriormente dal trattato di Roma, che vide la nascita della Comunità Economica Europea. Questo trattato prevedeva l’eliminazione dei dazi doganali e l’istituzione di una tariffa doganale esterna comune, l’istituzione della Banca Europea degli investimenti, il Fondo Speciale Europeo e infine una maggiore cooperazione fra gli Stati membri.
Possiamo notare come la comunità europea di allora non minava la sovranità nazionale dei Membri ma, al contrario, si limitasse a coordinare il benessere collettivo e il reciproco scambio. Questo modello è ciò che più va vicino al concetto di “Europa dei popoli” profetizzato da Giorgio Almirante. Fu promotore della cosiddetta “eurodestra” ossia l'unione, sotto un comune programma politico, dei principali partiti di destra europea quali: MSI, lo spagnolo Fuerza Nueva, il francese Parti des Forces Nouvelles e il greco Epen. Un’idea politica innovativa che mirava al superamento del bipolarismo USA - URSS e ambiva ad un ruolo da protagonista nel mondo nel solco della terza via europea.
Tutto ciò purtroppo fu solo un sogno sfumato e mai realizzato: l’idea di un’Europa che fosse comunità, cultura, identità e tradizione, dovette lasciare il posto all’attuale modello caratterizzato da: burocrazia, finanza e lobbismo. Due modi di concepire la politica completamente diversi.
Almirante diceva «o l’Europa va a destra o non si fa», oltre che non essere andata a destra, ha avuto la costante tendenza a sradicare la sovranità nazionale degli Stati membri in favore della fondazione di un super-stato federale: i cosiddetti “Stati Uniti d’Europa”.
Progetto concepito dalla sinistra europea nel tentativo di ricalcare verosimilmente il modello federale americano applicandolo in suolo europeo. Ciò è l’antitesi di quanto auspicato dalla destra europea dell’epoca. Il tentativo concreto di realizzare questo progetto federale - a mio avviso - passa attraverso la promulgazione di 3 atti principali: il Trattato di Schengen, il Trattato di Maastricht e il più recente Trattato di Lisbona.
Il primo fu varato nel 1985 e prevedeva l’abolizione dei controlli di frontiera e la libera circolazione di persone e cose. Il secondo trattato (1992) invece istituiva la cittadinanza europea, rafforzava i poteri del parlamento europeo e creava i presupposti per l’unione economica e monetaria. Infine il Trattato di Lisbona (2009) conferisce all’Unione Europea una personalità giuridica propria, quindi ammette la possibilità di ratificare accordi internazionali autonomamente e nel frattempo, limita questo potere agli Stati membri che devono obbligatoriamente uniformarsi alle direttive europee; concede maggiori poteri legislativi al parlamento europeo e, più in generale, solleva da molti incarichi decisionali finora ricoperti dagli Stati nazionali. Riconosce inoltre, all’articolo 50, un meccanismo di recessione dall’UE che vedrà la sua prima applicazione con la Brexit.
La ratifica di questi trattati e la conseguente introduzione della moneta unica centralizzata, ha condotto a disastrosi danni per le economie, troppo diverse, dei Paesi membri, portando l’Europa a viaggiare su due velocità differenti e non garantendo uno sviluppo armonioso per tutti. Se la CEE era nata per promuovere un concetto di reciproco vantaggio, l’UE ha fatto sì che si realizzasse l’esatto opposto.
Arrivando alla conclusione di questo percorso, si può notare come l’integrazione europea abbia preso completamente il sopravvento nei confronti dei governi nazionali: relegati ad un ruolo minore e ben lontano dal poter prendere le decisioni che realmente contano, in quanto soggetti all’approvazione e al giudizio da parte degli organi di controllo dell’UE. Parlare di sovranità per l’Italia è quindi molto complesso: da un lato siamo “strozzati” economicamente e burocraticamente da Bruxelles, dall’altro lato, abbiamo l’ingombrante presenza statunitense che influenza le nostre scelte in funzione del loro interesse nazionale come, ad esempio, nell’operazione Unified Protector contro il regime di Gheddafi: dove l’Italia pur di non dissociarsi dalle azioni della NATO, acconsentì - senza troppe polemiche - l’uccisione del suo alleato libico, il cui ruolo, fino ad allora, servì a garantire allo Stato nordafricano stabilità e pace sociale.
Di fatto, l’Unione Europea come l'Italia, è soggetta al giogo statunitense in campo geopolitico, non riuscendo ad avere la volontà politica - o il coraggio - di smarcarsi dalla NATO. Ne è un esempio quanto successo in politica estera nei confronti del conflitto russo-ucraino: dove l’UE si è fatta trovare completamente impreparata e ha concesso e avallato gli Stati Uniti nell’intento di alimentare il fuoco della guerra alle porte d’Europa, in un periodo post pandemico con relativa crisi economica. Dovremmo interrogarci su chi ha subito maggiori danni economici dall’entrata in vigore delle sanzioni e dal completo isolamento della Federazione Russa.
Ciò non deve essere interpretato come un “egoismo” nei confronti di chi sente in prima persona le sofferenze della guerra ma, al contrario, deve indurre a porre solide basi diplomatiche ambo le parti per risolvere la diatriba: che piaccia o no, l'Europa non ha nessun interesse diretto nell’avere la Russia dall’altra parte della barricata dal momento in cui si dipendeva - e dipendiamo - dalle ingenti risorse naturali che il loro territorio offre. Definire quindi quali siano gli interessi dell’UE al netto della presenza americana, è fondamentale per riacquistare una volta per tutte il nostro ruolo da attore primario nel mondo; né americani, né cinesi ma fieramente europei.
Siamo alle porte della nuova campagna elettorale per le elezioni europee 2024 e si prospetta essere una delle più importanti di sempre, per il suo elevato valore politico. In Europa i partiti di destra stanno cavalcando l’onda del malcontento generale dovuto a questa stressante situazione che ci ha lasciato in eredità anni di governi incapaci e progressisti.
Si evince, quindi, la necessità di ritrovare le coordinate e tornare a perseguire quella terza via europea che decenni fa i nostri predecessori sognarono.
La nuova Europa dovrà abbandonare la pesante burocrazia che si trascina dietro, proiettandosi al di là dei trattati costitutivi per riscrivere una nuova storia all’insegna dell’identità europea; di fatto, conservare e difendere i nostri valori, è una battaglia imprescindibile per dare alle giovani generazioni un’identità tradizionale e non - come vorrebbero i socialisti e liberali - “islamizzata” e tendente a quelle teorie gender proprie dell’ideologia Woke.
La destra europea in questo campo si gioca tutta la sua credibilità: partiti come l’ECR e ID, stanno già tastando il campo per eventuali coalizioni, nella speranza che i Popolari si allontanino dagli attuali alleati di sinistra. Inoltre, la futura commissione dovrà affrontare un tema epocale come quello dei flussi migratori, andando a segnare un punto di svolta rispetto ai loro predecessori. Tornare a difendere i confini esterni dell'Unione Europea sarà fondamentale per preservare la nostra egemonia culturale e, in concomitanza al piano Mattei bis voluto da Giorgia Meloni, presentarsi in Africa come interlocutori privilegiati per un partenariato strategico mirato alla stabilità dei Paesi africani (eventualmente con un supporto militare ai governi centrali se il caso lo richiedesse) superando il concetto di sfruttamento: motivo per il quale gran parte delle migrazioni sono di tipo economico.
In conclusione, prospetto per l'Europa una nuova linfa vitale che possa tornare ad accendere la fiamma della nostra identità culturale pluri-millenaria, abbandonando tecnicismi e burocrazia per continuare a sognare - e realizzare - una terza via che possa rendere il nostro continente di nuovo al centro del mondo: non più da "sudditi" di qualcuno ma, bensì, avanguardia di civiltà nel solco della sovranità nazionale e nel rispetto delle tradizioni dei Popoli europei.
Simone Fabbrini