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Il primo atleta trans alle Paralimpiadi è italiano

Il primo atleta trans alle Paralimpiadi è italiano, si chiama Fabrizio Petrillo, ma si fa chiamare Valentina, ed è un’atleta velocista ipovedente; da uomo biologico – uomo – correrà i 200 e i 400 metri contro atlete donne biologiche – donne.



Della vita privata, riporta Il Corriere, sappiamo che ha 51 anni, è nato a Napoli, ha un figlio, una figlia e due ex-mogli. Sempre al Corriere ha dichiarato: «Parigi 2024 è il mio sogno che si realizza. Lo avevo da quando ero piccola. Mi sono innamorata dell’atletica leggera vedendo il mio mito Pietro Mennea vincere le Olimpiadi di Mosca. Da quel momento ho cercato di raggiungere quel sogno. Le Olimpiadi sono diventate Paralimpiadi, perché all’età di 14 anni mi è stata diagnostica la malattia di Stargardt, che mi ha resa ipovedente».


Di tutto questo noi non abbiamo, certo, ragione di dubitare. Ma, così come nessuno può mettere in dubbio la passione e l’impegno di un atleta che – pur per vie traverse – giunge fino alle Paralimpiadi; nessun uomo biologico (quindi avvantaggiato per natura e per questo generalmente escluso dalle competizioni sportive femminili) deve permettersi di rovinare il sogno olimpico ad atlete che vi hanno speso la propria passione e il proprio impegno.


Badate bene, la nostra non è retorica da “conservatori bigotti”, riportiamo semplicemente i fatti: Irene Aguiar, avvocato dell’atleta spagnola Melani Berges, battuta da Petrillo sui 200 metri ai Mondiali dello scorso anno, ha definito ingiusta la partecipazione dell’atleta italiano, dichiarando: «La nostra atleta spagnola Melani Berges ha perso la possibilità di qualificarsi per le Paralimpiadi. Il motivo è la partecipazione dell’uomo Fabrizio “Valentina” Petrillo, che è arrivato in finale al suo posto. Questo è ingiusto».


Come darle torto? Non si può.


A maggior ragione non possiamo noi italiani, noi che come Paese abbiamo perorato la causa di Angela Carini sconfitta in 46’ secondi dall’atleta Imane Khelif, che pure, per quanto con livelli di testosterone atipici, atleta donna sembra effettivamente esserlo.


Khelif non avrebbe dovuto partecipare alla competizione femminile (anche se donna), per via dei suoi disturbi fisici, abbiamo detto a ragione, ma quanto rumore stiamo facendo per il diritto delle atlete paraolimpiche straniere, ora che l’atleta in questione è italiano?


La situazione, come sempre quando si parla di mondo LGBT, si aggrava perché, con “l’ariete” del povero discriminato, che è stato prima vittima della disforia di genere – che, ideologia a parte, sarebbe davvero una cosa seria –, poi delle discriminazioni dei bigotti e che, infine, si è rifugiato nella passione per la disciplina sportiva; Petrillo ci rifila, in realtà, l’orgoglio trans – in vero, piuttosto incompatibile con la sofferenza di cui prima.


Nella biografia di Instagram, nella quale ci si descrive in pochi caratteri, Fabio riporta orgogliosamente: «1ª Atleta Transgender Nazionale di Atletica Paralimpica». E al Corriere ha dichiarato: «Ha un grande valore per me come sportiva, ma ha anche un valore culturale e sociale molto importante in assoluto perché anche a livello paralimpico si potrà vedere una atleta transgender, che rompe un po' schemi e stereotipi».


Su cosa punta Fabio Petrillo? Sull’atletica o sull’orgoglio transgender?


Redazione

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