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Giovanni Gentile, leggerlo è l'unica cosa da fare: La mia religione, capitolo 2 | Documenti per Il Presente

Con il tempo ho capito che prendersi del tempo prima di esprimere il proprio punto di vista può rivelarsi una scelta saggia. Assicurarsi di avere tutte le informazioni necessarie e riflettere attentamente su una questione può portare a una decisione più informata e ponderata. Banalità sicuramente, ma forse non per tutti.


Ci basti pensare alle castronerie lette in queste ore [ieri 15 aprile] nell’anniversario dell’omicidio Gentile. Spiace che anche in questo caso la destra culturale italiana non si sia sottratta a una certa superficialità, una destra culturale più propensa alla creazione di grafiche acchiappa like piuttosto che all'analisi critica del filosofo siciliano.


Odio per i Gap, allusioni celoduriste al fascismo… è questo il rimasuglio culturale dell'ottantesimo anniversario. Mi sia concesso un piccolo contributo, questo invito alla lettura, sperando possa portare un po’ di fermento e dialogo.


Nulla di originale, sia chiaro, ma non di meno essenziale in questo "giorno dopo" fatto di dignità calpestate e stronzate social urlate con una certa veemenza.


Riccardo Mariani



La mia religione, capitolo 2


Il libro, il pdf


«Perché cristiano, l'ho detto. La religione cristiana è la religione dello spirito, per la quale Dio è spirito; ma è spirito in quanto l'uomo è spirito; e Dio e uomo nella realtà dello spirito sono due e sono uno: sicché l'uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio: pensiero divino e divina volontà. E Dio da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt'uno con l'uomo, che lo compie nella sua essenza: Dio incarnato, fatto uomo e crocefisso.


Perché cattolico? Perché religione è chiesa; come ogni attività spirituale (scientifica, filosofica, artistica, pratica) è universale, propria di un soggetto che si espande all'infinito: comunità illimitata, nella quale il mio Dio è Dio se è Dio di tutti.


L'errore della Riforma, come videro bene i nostri pensatori del Rinascimento, fu quello di aver voluto fare della religione un affare privato di quel fantastico individuo, che non è uomo, spirito, ma un semplice fantoccio d'uomo collocato nella spazialità e temporalità della natura.


Tant'è vero che ogni cristiano, che voglia essere puro cristiano, è portato per la natura stessa dello spirito a fare proseliti, a far setta, a creare una chiesa: e cioè ognuno è cattolico a modo suo. Cattolico, s'intende, di una chiesa che come ogni società abbia un ordinamento e un'autorità che lo faccia valere: diciamo pure un papa. Un papa, un'autorità che approvi o condanni; e un sistema da cui il suo operare tragga norma e valore.


"Ma questo così definito puramente e semplicemente - si dirà - non è il cattolicismo storico; il cattolicismo della Chiesa cattolica: sarà il cattolicismo vostro".


Vecchia obbiezione, con cui han dovuto in ogni tempo fare i conti tutti i grandi cattolici, i quali, per esser grandi con l'originalità che è l'impronta della grandezza, sono stati sempre, volenti ma anche nolenti, riformatori; e nei loro tentativi di riforma hanno urtato nella struttura disciplinare e ideale della Chiesa, nel positivo dell'elemento in cui operavano e nelle forze conservative che dal positivo non potevano non sprigionarsi e reagire. Storia di tutti i tempi; la storia di tutto ciò che è il vivo della Chiesa cattolica.


E quale è stata sempre la riposta dei riformatori? Quella che più efficacemente di tutti diede uno dei più grandi riformatori che la Chiesa abbia avuto in Italia: il Gioberti. Il quale nella sua Riforma Cattolica (§ 101) ragionando della «poligonia del Cattolicismo» che «deve avere un lato obbiettivo che risponda a ogni qualità subbiettiva», per cui «vi sono tanti cattolicismi quanti gli spiriti umani» formanti una Chiesa sola: la “Chiesa non solo presente e passata, ma futura, abbracciante non solo tutti i cervelli reali”, ma i possibili, prevede infatti l'obbiezione che il papa, i vescovi, ecc. non intendono il Cattolicismo a questo modo. E risponde con queste parole che giovane io lessi come parole illuminatrici, e mi sono rimaste poi sempre nella memoria: «Coloro [dice Gioberti] che mi fanno questa obbiezione, non m'intendono. Rispondo che, se [Papa e vescovi] lo intendessero a mio modo, non avrei ragione, ma torto».


Scetticismo? Protagorismo? No. Gioberti non era un sofista; e se peccò forse in qualche parte del suo filosofare, il suo peccato non fu certo quello dello scetticismo. La sua poligonia del vero non è un lato solo del poligono: è verità, che sta al di sopra di ogni verità particolare, e così di ogni cattolicismo e ne garantisce il valore assoluto.


Come nessuno mi contesterà il diritto di professarmi idealista perché il mio idealismo è il mio idealismo, e non l'idealismo di tutti (che non è mai esistito e non esisterà mai), così avrò pure il diritto di professarmi cattolico, di un cattolicismo che sarà bensì e non potrà non essere altro che il mio cattolicismo. E come, poniamo, a chi s'impuntasse a sostenere che bisogna distinguere tra idealismo vero e preteso idealismo, arbitrario e falso, e pretendesse, a esempio, che il vero idealismo è quello classico di Platone e propriamente contenuto ne' suoi Dialoghi, si avrebbe buon diritto di osservare che anche in questo idealismo autentico c'è un'infinita poligonia, perché i Dialoghi platonici vanno pur letti per saperne il contenuto, interpretati, e quindi discussi all'infinito; così potrà dirsi che il vero cattolicismo è quello che storicamente si configura in un sistema di istituti e di dommi, ma è anche vero che istituti e dommi non sono obbiettivamente esistenti e operanti fuori della mente e dell'animo del credente; essi in interiore homine sono accettati e intesi com'è possibile a ciascuno intenderli, colla propria testa, liberamente.


Si distingua all'infinito tra natura e grazia: ma resterà sempre nell'umana natura un margine che è libertà; un margine per cui l'uomo potrà essere redento dalla grazia e un asino no; e tanto meno un sasso. Perciò poi istituti e dommi e tutta la Chiesa effettiva hanno una storia, che sarà sempre umana, quantunque assistita da una superiore ispirazione divina; anzi appunto perché mossa da una siffatta ispirazione.


I dommi della Chiesa sono e non possono essere altro che i miei dommi; e, in generale, la Chiesa alla quale mi ascrivo non può essere altro che la mia Chiesa: e ubbidienza o ribellione, conformismo o non conformismo, hanno un significato soltanto in rapporto, non alla mia Chiesa, ma a una Chiesa che non è la vera Chiesa (almeno per me, a cui si chiede ubbidienza e conformismo); in rapporto cioè a una Chiesa dalla quale è impossibile che sia vietato ogni appello a quella Chiesa ideale. Poiché a questa Chiesa ideale si guarda sempre anche quando crediamo di sottometterci alla Chiesa positiva come a quella che della ideale ci sembra legittima rappresentante.


La Chiesa storicamente con i suoi organi centrali per difendere la sua disciplina e la sua unità e quindi la sua esistenza, s'è sforzata in ogni tempo di reprimere e annientare questo soggettivismo ripullulante in eterno dal profondo degli spiriti che essa voleva contenere nel suo ambito. E non poteva fare diversamente. Ciò che vuol dire che ha fatto bene, poiché la Chiesa è necessaria - è, si dice, istituzione divina -; e non può esistere se non a patto di restare una Chiesa, unica.


Ma ciò non vuol dire che non siano stati pur necessari i dissensi, e le ribellioni e le lotte, senza di che la Chiesa sarebbe stagnata in una morta gora, privata di quello spirito che le dà vita, e perciò svolgimento, e quindi effettiva potenza, che è vitalità.


E il divino afflato dello spirito religioso è appunto quello che finisce col farci scorgere l'anima a noi fraternamente stretta nell'aspirazione sublime alla verità anche attraverso quello sguardo torvo con cui pare il nemico ci fissi. Donde il perdono e l'amore del prossimo, che ci fa sentire davvero, che siam fratelli, siam stretti a un patto. Che è il più grande insegnamento del cristianesimo.


Il quale, bisogna riconoscerlo, non si è mai spento né inaridito attraverso le vicende della Chiesa romana; anzi con le grandi correnti teologiche in cui ha cercato di esprimersi per acquistare la piena coscienza di sé e con cui ha promosso la creazione di tutto il sistema cattolico, ha consentito una formulazione dommatica che solo alle menti superficiali e ignare della vita dello spirito, dotte magari d'ogni scienza terrena e cioè naturale o naturalistica, ma ignare e digiune d'ogni senso di quella umanità che spazia nel divino, può esser sembrata ostile alla ragione e alla scienza e inconciliabile perciò con le esigenze critiche del pensiero umano, quasi superstizione destinata a esser fugata dalla luce del sapere.


Ciò che la Chiesa cattolica vuole insegnare è degno, in tutti i suoi dommi, di essere accolto da ogni alto spirito cristiano, consapevole della rivoluzione operata nel pensiero e nella vita dell'uomo dall'Evangelo come scoperta della vita dello spirito.


Purché ogni parola che vuol essere parola di verità si lasci discendere nel cuore d'ogni uomo con quella divina virtù che la fa intendere a ciascuno nel suo proprio linguaggio, che è il suo modo di sentire e di pensare:


Come la luce rapida

piove di cosa in cosa,

e i color vari suscita

dovunque si riposa;

tal risonò moltiplice

la voce dello Spiro:

l'Arabo, il Parto, il Siro

in suo sermon l'udì. [1]


Confido pertanto mi si voglia consentire che anche io oda lo spirito in mio sermone: quello stesso sermone che appresi infante da' miei genitori, e che da' più teneri anni ho continuato a parlare ancorché venisse maturando - come è proprio di tutto ciò che è vivo nell'anima nostra - col proceder dell'età e l'insistere assiduo della riflessione. Non si sa che le stesse parole hanno un suono sempre diverso sulle labbra dello stesso uomo dall'infanzia alla vecchiezza? e sono cioè parole diverse, con diverso significato?


Così ora rileggo quelle pagine che via via sono venuto scrivendo (ahimè quante!); e non trovo sillaba da cancellare, quantunque talune forme polemiche non riescano più di mio gusto e maggiormente senta la convenienza di smorzare certi toni dommatizzanti.


Oh certo, non credo di aver tradito il primo insegnamento religioso che mi venne impartito da mia madre (la cui voce ancora e sempre dentro mi suona) sebbene Ella forse ora mi troverebbe molto cambiato. Cambiato, s'intende, di dentro, come son cambiato di fuori. Ché tanti anni non potevano passare senza lasciar traccia.»



Giovanni Gentile


[1] La Pentecoste, Alessandro Manzoni

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