top of page

Giovanni Falcone era favorevole alla separazione delle carriere: ecco perché e di cosa si tratta

Aggiornamento: 8 apr


Separazione delle carriere: cosa prevede la riforma della giustizia


«Separazione delle magistrature giudicanti da quelle requirenti», ma cosa significa, realmente, questa frase che oggi tanto risuona nel dibatti pubblico? La separazione delle carriere è, senza dubbio, l’argomento più dibattuto della riforma della giustizia, che è poi anche riforma costituzionale, presentata dal governo Meloni.


Scindendo le funzioni giudicanti e requirenti, ogni magistrato dovrà scegliere, all'inizio della propria carriera, se ricoprire il ruolo di giudice o quello di pubblico ministero, senza possibilità di ripensamenti successivi. 


Il progetto dell’esecutivo prevede anche la creazione di due nuovi organi di autogoverno, che avranno il compito di stabilire nomine, incarichi e valutazioni professionali: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente. Il CSM, così come lo conosciamo oggi, verrebbe meno.


Come accade tutt'oggi, la presidenza dei due consigli sarà affidata al Presidente della Repubblica e il Procuratore generale della Cassazione, così come il suo primo presidente, ne saranno membri di diritto; i componenti restanti verranno estratti a sorte, non più eletti dai magistrati e dal Parlamento.


I nuovi consigli superiori non si occuperanno delle valutazioni disciplinari, che saranno di competenza di un nuovo terzo organo, l’Alta corte disciplinare, che sarà composta da 15 giudici, così ripartiti: 3 nominati dal Presidente della Repubblica, 3 estratti a sorte da un elenco del Parlamento, 6 sorteggiati tra magistrati giudicanti con requisiti specifici, 3 sorteggiati tra i magistrati requirenti con requisiti specifici.


Si riflette, inoltre, sulla necessità di due concorsi distinti per giudici e pubblici ministeri e di due Scuole Superiori della Magistratura al posto di un corpo unico.


Obiettivi della riforma: maggiore imparzialità ed equilibrio tra accusa-difesa


L'obiettivo più importante che i fautori della separazione dichiarano di perseguire è "semplicemente" una maggiore imparzialità nel giudizio, proprio per la figura del “giudice terzo”, quindi indipendente, che la riforma introdurrebbe.


Finora, infatti, le decisioni dei magistrati giudicanti sarebbero state influenzate o, quanto meno, potenzialmente influenzabili, dalla "vicinanza di categoria” tra i magistrati giudicanti e quelli requirenti, il tutto a chiaro discapito di avvocati e imputati. Insomma, il nemico è l’eccessiva vicinanza culturale tra chi accusa e chi giudica.


Altro obiettivo perseguito è il maggiore equilibrio tra accusa e difesa, la figura del pubblico ministero, una volta riformata, assomiglierebbe sempre più a un "avvocato dell’accusa", come nei modelli accusatori; assumendo maggiore responsabilità riguardo a eventuali errori investigativi, in quanto parte del processo e non soggetto super partes.


Le critiche alla separazione delle carriere: rischi e contestazioni


Non mancano le contestazioni, che si fondano, principalmente, sull’autonomia dei magistrati dal potere politico, che la riforma, dicono i critici, andrebbe a intaccare. L’indipendenza del pubblico ministero sarebbe a rischio in quanto si profilerebbe una sempre maggiore influenza politica sulle procure.


La separazione delle carriere, inoltre, affermano le opposizioni, rallenterebbe il sistema giudiziario a causa del, supposto, scarso coordinamento tra giudici e Pm, nei processi e nelle indagini.


Non manca, poi, chi afferma che al posto di un giudice terzo la riforma introdurrebbe, in realtà, una figura più simile a un “super-poliziotto”, ostinato nel perseguire la condanna degli indagati, invece che nel raccogliere prove a favore di questi ultimi.

 

Giovanni Falcone e la separazione delle carriere: cosa disse davvero?


In questa lotta continua, tra Governo e magistratura-opposizione, mi sembra doveroso dare nuova voce alle parole dell'arcicelebrato giudice Giovanni Falcone. La voce di un uomo di Stato tanto celebrato quanto, in realtà, inascoltato; una voce spesso storpiata dall’ideologia della sinistra, che per anni ha tentato di appropriarsene per contestare, faziosamente, le posizioni e le riforme della Destra. Da ultima quella della giustizia, con al centro la separazione delle carriere.


La riforma è davvero un attacco alla magistratura? Affidiamoci alle parole di un uomo che ha fatto della giustizia la propria quotidiana.


Diciamolo chiaramente, Giovanni Falcone si disse favorevole alla separazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente. Ciò è attestabile grazie all’intervista che il giudice rilasciò a Mario Pirani, di Repubblica, il 3 ottobre 1991, nella quale affrontando la riforma Vassalli, si espresse così:


«Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obiettivo.


E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri.


Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte.»


Falcone e la critica alla magistratura: il rischio del corporativismo



Un concetto ribadito anche in precedenza, nel 1988, quando sottolineò la necessità di una «profonda trasformazione dell’ordinamento giudiziario» per garantire la funzionalità del nuovo codice di procedura penale (Convegno Mondo Operaio, archivi Radio Radicale).


Ancora prima, parlando della riforma del 1988, Falcone criticò l’Associazione Nazionale Magistrati per il suo corporativismo e per la pretesa di considerare il magistrato «una sorta di superuomo infallibile ed incensurabile» (Convegno "Un nuovo codice per una nuova giustizia", 8 ottobre 1988).


Inoltre, evidenziò che sarebbe stato necessario valutare «se e in quali limiti l’unicità delle carriere dei magistrati, inquirenti e giudicanti, e la stessa appartenenza del PM all’ordine giudiziario siano compatibili con il nuovo sistema. Mi rendo conto di accennare a temi di grave portata e su cui ancora l’analisi è appena agli inizi ma trattasi di questioni aperte che non verranno risolte semplicemente esorcizzandole o, peggio, muovendo da posizioni preconcette o corporative.»


Sono documenti che non lasciano nessun dubbio circa il fatto che Giovanni Falcone rivendicasse pubblicamente il proprio favore nei confronti della separazione delle carriere.


In molti, però, affermano oggi che quel 3 ottobre 1991 Falcone non si riferisse alla figura del Pm, ma a quella del giudice istruttore. Io ritengo invece che Falcone avesse le idee molto chiare come ha più volte testimoniato anche in altre occasioni.


Ho sempre pensato al giudice Falcone come onesto e perseverante servitore dello stato, attento e scrupoloso. Difficile immaginare che lui non avesse pensato di separare le carriere di Pm e giudici.


Egli comprese infatti che due cariche con funzioni così diverse non possono avere formazione e carriere unificate ma devono distinguersi. E ciò non significa andare a ledere l’indipendenza del magistrato né tantomeno sottoporre quest’ultimo al potere dell’esecutivo.

 

Non chiamatela “riforma Falcone”: il dibattito sulle sue reali posizioni


Opinioni diverse giungono, tuttavia, dall’Associazione Nazionale Magistrati per cui Falcone non si sarebbe mai schierato sull’argomento o addirittura avrebbe avuto un parere contrario a riguardo.


Pietro Grasso, amico del magistrato ucciso a Capaci, oltre che collega, riporta:


«con l’avvento del nuovo codice, Falcone voleva porre sul tappeto la trasformazione del pubblico ministero da organo di smistamento e filtro tra la polizia giudiziaria e il giudice istruttore alle nuove funzioni di iniziativa, direzione ed impulso dell’attività di indagine [...]


Falcone parlava di specificità delle funzioni, di alta professionalità da garantire e conseguentemente della differenziazione delle carriere, senza affrontare il problema dell’assetto istituzionale del Pm, che riteneva non ancora giunto a maturazione politica.»


Grasso fa anche leva su una frase di Falcone, ripetuta in diversi interventi pubblicati dopo la sua morte: «l’essenza della questione è dare slancio e incisività all’azione penale del pm, garantendo, però, l’indipendenza e l’autonomia di tale organo».


Insistendo poi su una questione di metodo: «se si vuole attuare una riforma, che appare più che altro una vittoria simbolica in spregio alla magistratura, non lo si faccia nascondendosi dietro la faccia di Falcone (che non può esprimere la sua opinione nel contesto attuale) né battezzandola col suo nome perché la sua memoria non lo merita».


A contrastare la tesi secondo cui Falcone fosse pro separazione ha dedicato diverse pagine del suo Loro dicono, noi diciamo Armando Spataro, ex procuratore simbolo della lotta al terrorismo:


«si tratta di un’interpretazione errata di frasi estrapolate da un testo ben più ampio, Falcone non stava prendendo posizione ma aveva voluto porre sul tappeto il funzionamento della giustizia nell’assetto che il nuovo codice di procedura penale aveva riservato al Pm».


E prosegue: «Falcone credeva solo che con l’avvento del nuovo codice di procedura penale e l’abolizione della figura del giudice istruttore, vi fosse un accentuato bisogno di un sapere specialistico e che le conoscenze necessarie a un Pm per svolgere efficacemente il suo lavoro non coincidessero con quelle del giudice».

 

Una giustizia più equa ed efficiente: l'eredità di Falcone nella riforma di oggi


Pareri contrastanti, forse troppo, sotto ai quali mi sembra di sentire, parafrasando, “un puzzo” di complicità e contiguità che è per fortuna sovrastato dal fresco profumo di libertà che ha animato le parole del giudice Falcone.


Il giudice, simbolo indiscusso di coraggio e lotta alla mafia, avrebbe certamente abbracciato la riforma come strumento necessario per rendere più efficiente ed equa la nostra giustizia.


La sua vita e il suo impegno sono stati sempre improntati alla convinzione che la lotta alla criminalità non possa prescindere da un sistema giuridico che funzioni, che sia rapido e che dia risposte chiare e tempestive.


Falcone sapeva che la giustizia, per essere veramente tale, deve essere in grado di agire con forza e senza indugi, ma anche con un rigoroso rispetto delle leggi e dei diritti.


Oggi, più che mai, la sua visione della giustizia si riflette nella necessità di un rinnovamento che permetta di combattere le ingiustizie interne al sistema stesso. In un mondo che cambia velocemente, la riforma della giustizia è la chiave per dare nuove armi alla lotta contro la criminalità organizzata e per garantire, finalmente, quella giustizia che Falcone ha sempre creduto fosse possibile, ma che richiede uno sforzo collettivo per essere realizzata.


La sua memoria vive nel nostro impegno a costruire una giustizia che non lasci spazio all'inefficienza, ma che sia capace di rispondere con prontezza e determinazione alle sfide del nostro tempo. Un tempo che esige libertà, coraggio, verità… che esige passione. 

Amirah Risoli

Il Presente è il quotidiano di cultura, informazione e formazione della destra militante italiana, è diretto da Matteo Respinti.

Questo sito non è una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Le immagini e i video pubblicati sono tratti da internet e, per tanto, valutati di pubblico dominio: qualora il loro uso violasse diritti d’autore, lo si comunichi alla redazione che provvederà alla loro pronta rimozione.

© Copyright Il Presente 2024 - Tutti i diritti riservati.

bottom of page